Una sfilata a impatto zero e la creazione di un fondo per supportare progetti di riduzioni delle emissioni delle operations della maison. Ad annunciare queste iniziative è Burberry, protagonista della giornata di ieri, alla London Fashion Week, con la collezione A/I 2020. Il nuovo Regeneration Fund investirà per ridurre l’impatto ambientale della supply chain della griffe britannica, lavorando alla promozione della biodiversità e a supporto dei produttori locali. A dare il via al programma è la collaborazione con Pur Project, che promuove pratiche di agricoltura rigenerativa tra i produttori australiani di lana che lavorano con Burberry.
Tra le attività che hanno contribuito a rendere la sfilata di Burberry a impatto zero (anche lo show della P/E 2020, lo scorso settembre, aveva la stessa connotazione) ci sono l’organizzazione di eventi in una “sede sostenibile certificata”, l’utilizzo prioritario di veicoli elettrici e il mancato ricorso al trasporto aereo.
Ad oggi, spiega la nota della maison, il retail di Burberry è carbon neutral nelle Americhe e nell’area Emeia. Sono a impatto zero anche le operations britanniche e l’obiettivo è quello dell’azzeramento delle emissioni globali entro il 2022.
Come annunciato lo scorso anno, la maison guidata da Marco Gobbetti punta a eliminare, entro il 2025, le diverse forme di packaging in plastica. Negli scorsi mesi, inoltre, la stampa internazionale ha inquadrato come “passo avanti verso l’economia circolare” e l’accordo tra Burberry e The RealReal, un programma pilota che offrirà un ‘premio’ alle persone che vendono capi della griffe britannica su The RealReal. La fashion house inglese, dunque, non venderà direttamente i suoi prodotti tramite il sito, ma premierà i clienti che lo fanno: chi usufruirà della piattaforma otterrà, infatti, un incentivo per nuovi acquisti in 18 punti vendita americani di Burberry, dove è prevista un’esperienza di shopping personale esclusiva.
A settembre 2018, Burberry è diventata la prima casa di moda a impegnarsi pubblicamente a smettere di distruggere i capi invenduti. Nel luglio precedente, l’azienda aveva suscitato un aspro dibattito comunicando l’eliminazione prodotti finiti per un valore di 28,6 milioni di sterline (oltre 33,5 milioni di euro). Il dato era stato riportato dal bilancio della società.