Wall Street sembra sempre più vicina nell’orizzonte di Shein. Secondo Reuters, infatti, l’e-tailer avrebbe presentato in via confidenziale i documenti per un’offerta pubblica iniziale e il debutto in Borsa dovrebbe arrivare già entro la fine di quest’anno. Si tratta, va detto, ancora di rumors non confermate né dallo stesso Shein e neppure dalla Sec-Securities and Exchange Commission.
L’avvio delle procedure per la tanto attesa Ipo arriva in seguito all’ultimo round di finanziamento da 2 miliardi di dollari (circa 1,85 miliardi di euro) che aveva coinvolto il fondo sovrano degli Emirati Mubadala, oltre che investitori già presenti come General Atlantic e il gruppo di venture capital Sequoia Capital China.
La raccolta di capitale aveva portato il colosso della moda low cost a una valutazione da circa 64 miliardi di dollari, valore in drastica riduzione rispetto ai 100 miliardi dell’aprile 2022 ma sufficienti per consacrare Shein a maggior società cinese quotata oltreoceano, dall’approdo a New York del player dei trasporto Didi Global, quotato nel 2021 con alle spalle 68 miliardi di dollari e un anno dopo interdetto per via della pressione di Pechino sui giganti della tecnologia, ricorda l’agenzia di stampa.
Le fonti del rumor, precisa Reuters, hanno richiesto di rimanere nell’anonimato; intanto la Sec ha rifiutato di commentare in merito mentre un portavoce di Shein smentisce le voci in circolazione. Se i suoi piani trovassero a breve termine un effettivo coronamento, ricorda anche l’agenzia, il player d’Oriente accenderebbe ulteriormente le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina in tema di mercati, tecnologia, diritti umani e la questione Taiwan.
In prima linea per osteggiare il debutto in Borsa c’è proprio una cordata di legislatori americani bipartisan che all’inizio di maggio aveva chiesto alla Sec di sospendere l’offerta pubblica iniziale fintanto che non fossero state ultimate le debite verifiche riguardo al dietro le quinte della produzione di Shein, accusato di sfruttamento e lavori forzati.
Al centro della controversia c’è ancora una volta il famigerato cotone proveniente dalla regione cinese dello Xinjiang, boicottato dagli stati occidentali perché nell’area di produzione sarebbero stati contestati violazioni dei diritti umani a scapito degli uiguri. Shein ha negato di fare uso nonostante quanto sostenuto da un recente rapporto divulgato da Bloomberg nel 2022. Accanto, gli attriti sulla questione dell’esenzione tariffaria di cui godono gli e-commerce che spediscono prodotti dalla Cina ai consumatori statunitensi, tra cui spicca naturalmente Shein.
Intanto, il player si è lasciato alle spalle un 2022 da 22,7 miliardi di dollari, leggermente al di sotto delle sue previsioni, e ha dichiarato durante la riunione di presentazione del piano di crescita aziendale ai potenziali investitori di puntare a superare i 60 miliardi di vendite entro un orizzonte di medio termine fissato al 2025, triplicando così il proprio fatturato.
Un obiettivo ambizioso che sembrerebbe trovare il suo sbocco naturale nella quotazione pubblica, il cui raggiungimento arriverebbe dopo tre anni di vicissitudini travagliate costellate di scontri diplomatici, sconvolgimenti macroeconomici e il conflitto Russia-Ucraina. Nel frattempo il fondatore dell’azienda, Chris Xu, ha trasferito un anno fa l’headquarter da Nanjing a Singapore con una mossa che, sottolinea Reuters, aiuterebbe Shein ad aggirare le nuove e severe regole di Pechino sulle quotazioni all’estero.