Si torna a parlare del ‘dopo Giorgio Armani‘, ma questa volta è lo stilista stesso a delineare un ipotetico piano di successione per il gruppo, in un’intervista a Bloomberg. A pochi mesi dal suo 90esimo compleanno, Re Giorgio non esclude a priori possibili cambiamenti nel suo gruppo quando non sarà più al comando. Si potrebbe in futuro aprire quindi un doppio scenario: o la fusione con un competitor più grande o la quotazione in Borsa.
“L’indipendenza dai grandi gruppi potrebbe rappresentare anche in futuro un valore trainante per il Gruppo Armani, ma non mi sento di escludere nulla- ha dichiarato Armani nell’intervista a Bloomberg -. Ciò che da sempre caratterizza il successo del mio lavoro è la capacità di adattarsi ai tempi che cambiano”.
Al momento, spiega lo stilista, non è in previsione un’acquisizione da parte di un grande conglomerato del lusso. “Ma come ho detto – aggiunge – non voglio escludere nulla a priori perché sarebbe un’azione ‘poco imprenditoriale'”. Tra le opzioni sul tavolo, Armani, che controlla praticamente tutta la Giorgio Armani Spa e ha un patrimonio netto di 6,6 miliardi di dollari secondo il Bloomberg Billionaires Index, lascia aperta la porta a un’eventuale offerta pubblica iniziale. “La quotazione è qualcosa di cui non abbiamo ancora discusso, ma è un’opzione che potrebbe essere presa in considerazione, si spera in un lontano futuro”, ha detto.
Sebbene non si schieri apertamente a favore di alcun grande colosso del lusso, si tratta comunque di una apertura importante per Giorgio Armani, il quale ha sempre difeso l’indipendenza della propria azienda e ha escluso una fusione, soprattutto con i gruppi francesi. Bloomberg ha ipotizzato anche il valore della Giorgio Armani in caso appunto di cessione o scorporo. Ebbene, Bloomberg Intelligence stima un prezzo di 8-10 miliardi di euro. L’ultimo bilancio disponibile del gruppo Armani è al 2022: i ricavi netti in quell’esercizio fiscale sono ammontati a 2,35 miliardi di ricavi netti ( in crescita del 16,5% rispetto all’anno precedente) ed Ebit è stato pari a 202,5 milioni di euro, in crescita del 30% rispetto al 2021.
L’opzione dello sbarco sui listini azionari era già stato oggetto di rumors dalla stampa italiana lo scorso autunno, quando, a seguito di un’assemblea straordinaria della società svoltasi lo scorso 26 settembre, lo stilista-imprenditore avrebbe cambiato lo statuto della sua holding da 2,35 miliardi di ricavi e annunciato, per quando si aprirà la successione, l’introduzione di “due categorie di azioni prive del diritto di voto”. La modifica andrebbe letta nell’ottica di una struttura del capitale più flessibile con l’eventuale apertura a soggetti di puro investimento e quindi ipotizzava la possibile apertura del capitale a nuovi investitori. In un documento riservato anticipato dal Corriere della Sera lo scorso ottobre, era emerso inoltre come la Giorgio Armani del futuro darà “priorità allo sviluppo continuo a livello globale del nome ‘Armani’”, alla “ricerca di uno stile essenziale, moderno, elegante e non ostentato”. L’azienda avrà sei categorie di azionisti nel capitale, tutti uguali davanti al dividendo (solo “il 50% degli utili netti verrà ripartito”), ma alcuni avranno il triplo dei voti e il diritto a nominare l’AD.
La modifica dello statuto e la dichiarazione a Bloomberg di ieri lasciano quindi presupporre che lo stilista appare ora più aperto a diverse opzioni per il futuro. Uno dei nodi della questione Armani è la volontà dello stilista di lasciare l’azienda in mano a un numero ristretto di persone fidate. “Quando si tratta di successione, penso che la soluzione migliore sarebbe un pool di persone fidate, vicine a me e scelte da me”, ha detto Armani, indicando la leadership della fondazione della sua azienda, in particolare il manager e amico dello stilista Leo Dell’Orco, che ha sostenuto lo stilista nella gestione dell’azienda da anni, e le nipoti Silvana e Roberta Armani (figlie del fratello Sergio scomparso anni fa) e il nipote Andrea Camerana (figlio della sorella Rosanna). Al momento siedono tutti in consiglio.
“La Fondazione deciderà e governerà il futuro del gruppo Armani – ha detto il fondatore – perché al timone ci sono le persone a me più vicine”. La Fondazione è stata creata nel 2016 per realizzare progetti di pubblica utilità sociale ma che, soprattutto, è un soggetto chiave nella fase di successione e, come ricorda Il Sole 24 Ore, è guidata da un consiglio a tre formato da Giorgio Armani stesso, Leo Dell’Orco e Irving Bellotti, banker di Rothschild. In un documento del 2016 pubblicato lo scorso novembre da Reuters, era già stato messo nero su bianco un aspetto chiave del dopo Armani: si dice infatti che gli eredi dovranno gestire una potenziale quotazione in borsa ma non prima di cinque anni dalla sua scomparsa, così come qualsiasi potenziale attività di M&A.
A Bloomberg Armani ha anche ribadito che non prevede che alcun singolo individuo possa prendere il suo posto alla guida dell’azienda. “Ho iniziato da solo con una piccola azienda e l’ho trasformata, pezzo dopo pezzo, in un gruppo di rilevanza internazionale”, ha detto Armani. Ma il settore della moda di oggi è “molto diverso da quando ho iniziato, quindi immagino molteplici funzioni coordinate per chi verrà dopo di me”.
Secondo Stefania Saviolo, docente di fashion e management del lusso all’Università Bocconi di Milano, l’ipotesi migliore di fronte al nodo successione sarebbe quella di mantenere la famiglia al timone dell’azienda con il supporto dei partner licenziatari perché, spiega, il modello di business di Armani “è davvero unico rispetto ad altre aziende di moda, comprese quelle francesi”. Giorgio Armani è “un designer con una forte identità che è anche un imprenditore e possiede un portafoglio complesso di linee di business e fabbriche”.