Gli Stati Uniti giocano la carta dell’economia circolare per cercare di ‘smarcarsi’ dalla Cina e ridurre così la dipendenza dal settore manifatturiero cinese. Con questo obiettivo alcuni senatori statunitensi (in particolare Bill Cassidy della Louisiana e Michael Bennet del Colorado), hanno presentato un disegno di legge bipartisan intitolato Americas Trade and Investment Act (o Americas Act) che prevede incentivi per oltre 14 miliardi di dollari (circa 13 miliardi di euro) per aumentare la circolarità nei settori dell’abbigliamento, delle calzature, degli accessori e biancheria per la casa. La proposta coinvolgerebbe sia aziende coinvolte nella green economy, sia piattaforme di rivendita fino agli impianti di smistamento dei rifiuti tessili e ai riciclatori.
Nel dettaglio, la misura prevede una riduzione fiscale del 15% per le imprese coinvolte nella raccolta, riutilizzo, noleggio, riparazione, smistamento, lavorazione o riciclaggio dei tessili, nonché 10 miliardi di dollari in prestiti e 3 miliardi di dollari in sovvenzioni per sostenere la produzione e i programmi di riutilizzo e riciclaggio. Un altro miliardo di dollari è stato stanziato per ricerca e sviluppo.
L’attenzione all’ambiente rappresenterebbe l’elemento di differenziazione con la produzione cinese, spesso accusata di non seguire logiche di sostenibilità ambientale ed etica. D’altro canto, in questo modo l’Americas Act andrebbe a sostenere le imprese circolari nazionali e la produzione tessile e incentiverebbe così il reshoring e il nearshoring manifatturiero dalla Cina agli Stati Uniti. Oltre a dare una spinta alla manifattura nazionale, la proposta di legge va letta anche nell’ottica di una ormai acerrima guerra commerciale tra Usa e Cina che va avanti ormai da anni con il Paese nordamericano impegnato nell’imporre tariffe sulle merci importate dalla Cina e nell’aumento dei controlli sulle esportazioni. A questo si aggiunge la delicata querelle sui lavori forzati nella regione cinese Xinjiang. Washington sta inoltre cercando da tempo di chiudere la scappatoia “de minimis” (che elimina i dazi sulle spedizioni inferiori a 800 dollari) e che quindi consentirebbe di arginare il problema di colossi cinesi come Shein e Temu.