di Marco Caruccio e Davide Fogato
Mancano poche ore al debutto del neo direttore creativo Sabato De Sarno da Gucci, l’evento più atteso di tutto il fashion month. Una prova importantissima per De Sarno e per la proprietà, Kering, che con questa sfilata, dopo l’addio di Bizzarri al vertice del marchio e il nuovo riassetto manageriale, traccia definitivamente l’inizio del nuovo Gucci. Dopo l’era Alessandro Michele, alla guida creativa del marchio per sette anni, De Sarno è chiamato ora a soddisfare le altissime aspettative del mercato, di critica e stampa con una collezione che promette – come comunicato dalla maison fiorentina nell’ultima campagna – di farci innamorare di Gucci, “ancora”. Dato il gigantesco buzz mediatico però molti addetti ai lavori si chiedono già se il designer sia stata e sarà la scelta giusta per il futuro del brand e se riuscirà a reggere il peso di una casa di moda con storia e fatturati importantissimi alle spalle, in un panorama che negli ultimi mesi ha visto molti designer ‘cadere’ sotto il medesimo confronto.
Proprio come i temporary store e le macchinette fotografiche usa e getta, i percorsi stilistici dei giovani – talvolta giovanissimi – designer, all’interno di storici marchi del lusso, sembrano infatti aver avuto, nelle scorse stagioni, una vera e propria data di scadenza. Un fenomeno recente quanto inaspettato ed immediato, che proprio come un domino ha visto cadere i nomi di molti stilisti a cui erano state affidate direzioni creative importanti di case di moda ricche di heritage.
Dopo anni dove a catalizzare l’attenzione del fashion system sono stati i consueti grandi nomi, gli emergenti si sono recentemente presi la scena internazionale, dando vita a quello che per molti addetti ai lavori è sembrato un primo passo verso il ricambio generazionale. Un cambiamento che, parallelamente al successo dei loro progetti personali, ha permesso alle nuove leve di dirigere gli studi di design di maison storiche. Eppure qualcosa, nelle valutazioni dei management dei grandi marchi e nelle strategie dei CEO che ne sono alla guida, deve non aver funzionato, portando la critica di moda a domandarsi: la nuova generazione di designer è pronta a raccogliere la sfida che può offrire una maison?
“Trovo che ci siano molte assegnazioni sbagliate nella moda di oggi. Sta avvenendo un ricambio generazionale, sì. Però lo si potrebbe definire in maniera più attenta e considerata se queste nomine durassero”, afferma Angelo Flaccavento, critico di moda ed editorialista per The Business of Fashion e Il Sole 24 Ore. “La mia impressione è che questi cambiamenti siano una saetta, perché magari alcuni direttori creativi vengono assunti per l’hype e il ritorno mediatico che sembrano avere nell’immediato, ma a volte si rivelano scelte poco avvedute e considerate. Ormai vengono presi dei giovani che hanno un’esperienza brevissima con i loro stessi marchi e che quindi non hanno la capacità di flettere un linguaggio personale a seconda del canale (il brand) attraverso il quale lo veicolano. Quello che trovo manchi spesso è il progetto di lunga durata, mentre la moda tende a vivere dei tempi sincopati, dove tutto si consuma nel momento stesso in cui avviene”.
Proprio l’esperienza è quello che più manca alla new wave, che in un contesto saturo come il mercato attuale è sempre più spinta alla ricerca del singolare e di una propria firma distintiva. Un elemento sicuramente importante per un emergente, ma che da solo non basta. “Da una parte – spiega Flaccavento – c’è la mancanza di esperienza, dall’altra la formazione di questi designer è incompleta. Viene insegnato loro a creare una ‘sigla’, e questa riconoscibilità viene fatta passare come il mezzo per sopravvivere in un mercato che è sempre più mare magnum. Se questo può comunque essere apprezzabile, il rischio è quello di cadere in una certa monotonia.”
É ormai noto che per salire alla direzione creativa di un marchio bisogna oggi, in molti casi, essere anche un po’ ‘personaggio’, avere un certo seguito e riscontro mediatico. Bisogna essere social e strizzare l’occhio alla nuova generazione di consumatori. E in un mondo dove tutto viaggia imperterrito alla massima velocità per emergere si cerca di creare buzz mediatico, rumore. “Penso alla nomina di Ludovic De Saint Sernin da Ann Demeulemeester: mettere un nome così esposto mediaticamente – precisa Flaccavento – alle redini di un marchio guidato da una designer che quasi non si vedeva era sembrata comunque una scelta strana, ma motivata dalla volontà di volersi chiaramente inserire nello scenario contemporaneo, che richiede una grande esposizione del marchio attraverso tutti i canali. Penso che ogni tanto ci siano delle scelte fatte per mismanagement del ruolo del direttore creativo e con l’idea che questo possa portare attenzione e audience sul marchio, senza però poi lavorare concretamente sulla materialità degli abiti”.
L’esempio più esplicito di un direttore creativo, seppur non emergente, nominato per diventare subito virale è stato Pharrell Williams da Louis Vuitton. Durante l’ultima edizione della fashion week parigina il marchio di casa Lvmh ha svelato il nuovo corso del menswear con una sfilata che ha visto esibirsi Pharrell in duetto con Jay-Z. Probabilmente lo spettacolo rientra nei plus di avere come direttore creativo un personaggio che è anche uno dei più famosi produttori musicali della sua generazione. La scelta di Vuitton non è però un caso isolato.
“Lanvin Lab (contenitore che prevede partnership creative con talenti internazionali, ndr) ha invitato l’acclamato artista vincitore di Grammy, Future, a disegnare una capsule collection che celebra una visione innovativa e individualista, in grado di colmare il divario tra musica e moda”, ha comunicato lo storico marchio. Il fil rouge tra moda e musica è cosa nota ma ora le star passano dall’impugnare il microfono a dettare le linee stilistiche di un brand. “Come ha detto Bernard Arnault, il lusso non è più un prodotto ma è cultura, quindi è chiaro che, per essere vicini al mondo dell’arte, una delle direzioni in cui il settore sta andando in questo momento è lo star system”, riflette Mario Ortelli, managing partner della luxury advisory firm Ortelli&co.
La spettacolarizzazione è l’elemento alla base anche delle sfilate delle collezioni resort in giro per il mondo che, ormai, non fanno quasi più notizia. Dopo la pausa imposta dall’emergenza sanitaria la moda ha ripreso ad organizzare eventi dall’impronta sempre più lifestyle. Ora il messaggio da veicolare è sempre più calibrato sui ritmi dettati dai social media. Lo conferma Marco Ramon, direttore generale dell’agenzia milanese Exhibita, che da vent’anni vanta collaborazioni con marchi del lusso del calibro di Gucci, Cartier, Tod’s e Zegna. “La fruibilità dell’evento è cambiata. Una volta il lusso parlava le regole del lusso, ora lo fa solo l’Alta Gioielleria. La moda è diventata troppo dipendente dalla comunicazione social. Instagram e TikTok sono veloci e quindi abbiamo molto meno tempo per creare eventi che vorrebbero essere mondi di riferimento”.
Grazie ai feedback in tempo reale è possibile comprendere subito la portata del successo, o del fallimento, di un evento. Basta contare le visualizzazioni, i like, i commenti, le condivisioni. Un modo completamente nuovo di raccontarsi facendo affidamento ad esperti del settore. “Quando ho iniziato gli eventi erano dedicati a stampa e buyer, adesso ci sono anche gli influencer. Non si punta solo alla mera comunicazione di un prodotto o di una collezione ma di un lifestyle attraverso delle experience, far vivere emozioni attraverso press trip, eventi resort, viaggi retail, mostre…”.
La versione integrale di questo dossier è presente all’interno del nuovo numero di Pambianco Magazine