La lotta dell’Europa contro gli sprechi tessili si fa ancora più serrata. Nel corso dell’ultimo Global Fashion Summit di Copenhagen, storico forum internazionale sulla sostenibilità, Virginijus Sinkevičius, membro della Commissione europea e Commissario europeo per l’ambiente, ha dichiarato che l’obiettivo delle istituzioni comunitarie è che tutti i regolamenti previsti che impongono alle aziende di moda di produrre vestiti in modo più sostenibile e le normative per i rifiuti tessili siano in vigore entro il 2028, sottolineando poi come questa sarà una grande sfida per il mercato del fast fashion.
“L’industria della moda è in qualche modo sfuggita alla regolamentazione, ma vediamo che esercita una grande pressione per le risorse naturali e per quanto riguarda l’inquinamento. Dobbiamo reagire”, ha sottolineato il commissario durante il summit secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters. Si tratta di una nuova importante presa di posizione di fronte ad un problema già ampiamente emerso nel Vecchio Continente. Ogni anno nell’UE vengono scartati circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, pari a 11 chili a persona. Ogni secondo un camion carico di prodotti tessili viene gettato in discarica o incenerito da qualche parte nel mondo, secondo i dati dell’UE. Come riporta un recente documento del Parlamento europeo, tra il 2000 e il 2015, la produzione di abbigliamento è raddoppiata, mentre l’utilizzo è diminuito del 36 per cento. “Questo – si legge – ha comportato la riduzione del ciclo di vita dei prodotti tessili: i cittadini europei consumano ogni anno quasi 26 kg di prodotti tessili e ne smaltiscono circa 11 kg. Gli indumenti usati possono essere esportati al di fuori dell’UE, ma per lo più vengono inceneriti o portati in discarica (87 per cento). La crescita del fast fashion, favorita in parte dai social media e dall’industria che porta le tendenze della moda a un numero maggiore di consumatori a un ritmo più rapido rispetto al passato, ha svolto un ruolo fondamentale nell’aumento dei consumi”.
Gli occhi continuano quindi ad essere puntati sui colossi del fast fashion che, come precisa Reuters, non mostrano segni di rallentamento della produzione, ma è vero che i grandi nomi, da Inditex a H&M, stanno cercando di utilizzare meno acqua ed energia e più tessuti riciclati.
Nell’ottica di arginare l’aumento esponenziale della produzione e, di conseguenza, dell’incremento dei rifiuti tessili, la Commissione richiederà alle aziende della moda di raccogliere una quantità di rifiuti tessili equivalente a una certa percentuale della loro produzione o di pagare una tassa per il lavoro di raccolta dei rifiuti delle autorità locali. L’importo aumenterà gradualmente ogni pochi anni. Non è ancora stata definita la percentuale precisa ma, secondo Sinkevičius, sarà superiore al 5 per cento. L’obiettivo dell’Unione Europea è che, entro il 2030, le aziende di moda producano capi più durevoli che possano essere riutilizzati e riciclati più facilmente.
Nel mirino della Commissione europea c’è tutta la gestione della sostenibilità da parte dell’industria della moda. Ecco perché recentemente è stato proposto anche un regolamento per limitare l’uso da parte dei marchi di affermazioni sostenibili per pubblicizzare l’abbigliamento. Si stima che la metà di queste affermazioni, o “etichette ecologiche”, siano fuorvianti. Secondo Sinkevičius, il regolamento sul marchio di qualità ecologica sui tessili entrerà in vigore all’inizio del prossimo anno.
A maggio i governi dell’Unione europea hanno inoltre concordato il divieto di distruzione di tessuti invenduti come parte della strategia verde dell’UE per incoraggiare un maggiore riutilizzo e riciclaggio. In questo caso le tempistiche non dovrebbero essere eccessivamente lunghe. Lo scorso mese i governi dell’UE hanno concordato che un divieto di distruzione degli indumenti invenduti dovrebbe essere applicato immediatamente, piuttosto che attendere che l’esecutivo dell’UE effettui una valutazione che avrebbe potuto durare tre anni. Riguardo a questo tema Sinkevičius ha affermato che la regola del divieto richiederà “sei mesi o anche di più” per essere implementata.