Che la partita cinese sia cruciale per il lusso è un dato ormai consolidato: stando al China Luxury Report 2021 di Bain & Company a livello globale, la quota di mercato del lusso della Cina continentale è aumentata da circa il 20% nel 2020 a circa il 21% nel 2021. Il mercato dei luxury goods nel Gigante asiatico ha concluso il 2021 con un balzo double digit, con alcuni brand che hanno superato il 70% di incremento. Del resto, nonostante le forti limitazioni al turismo internazionale, i consumatori cinesi hanno dirottato lo shopping sulle piazze domestiche e questo trova riflesso in un +48% delle vendite interne cinesi dei personal luxury goods nel 2020 e in un +36% nel 2021 per un totale di quasi 471 miliardi di yuan (circa 67 miliardi di euro al cambio attuale), quasi al raddoppio in due anni.
Le recrudescenze del Covid-19 da inizio 2022 hanno però frenato i consumi. La metropoli di Shanghai, in lockdown, conta per oltre l’80% dei nuovi contagi e con i suoi oltre 26 milioni di abitanti chiusi in casa fa i conti con la rigida politica di ‘Zero Covid’. Shanghai non è però l’unica città ad affrontare le restrizioni: un rapporto di Gavekal Dragonomics, citato da The Economist, ha rilevato che solo 13 delle 100 città principali della mainland (classificate in base al Pil) non stanno implementando restrizioni Covid-19, con dieci centri definiti in “severo lockdown”. Oltre allo stop dello shopping fisico, il lusso in Cina fa i conti anche con un ‘calo dell’appetito’ per beni non essenziali.
Denominatore comune del bilanci relativi al Q1 del 2022 è l’incertezza dell’outlook per i prossimi mesi. I dati pubblicati nel primo trimestre di quest’anno dai principali attori del mercato del lusso mostrano che le vendite in Cina sono scese del 30-40% circa, un po’ per il lockdown a Shanghai (circa il 15% è riferito alla zona della Cina continentale) e un po’ per il traffico ridotto in altre regioni. Secondo gli analisti di Ubs, autori di un report diffuso da Milano Finanza, Lvmh (rating buy) ed Hermès (neutral) sono i migliori titoli su cui puntare in questo scenario di incertezza; mentre Tod’s (sell), Salvatore Ferragamo (sell) e Swatch (neutral) risultano i più esposti a un potenziale rischio al ribasso. La banca d’investimento ha analizzato le performance di dieci titoli del comparto del lusso in relazione all’andamento delle vendite in quattro scenari, ovvero con un calo annuale del 10%, del 20%, del 30% e del 40%, e tenendo conto del contesto fortemente incerto che vive anche la capitale Pechino. “Le vendite di Swatch – si legge su Milano Finanza – hanno un’esposizione alla regione della Cina continentale pari al 37 per cento. Il dato scende leggermente per Richemont (35%), Tod’s (33%), Burberry (31%), Hèrmes (30%), Lvmh (30%); mentre le meno esposte risultano quelle di Ferragamo (25%), Kering (23%), Moncler (24%) e Prada (24 per cento)”. Ubs ha fissato l’obiettivo di crescita del Pil cinese per il 2022 al 4,2%.
Negli scorsi giorni, l’Ex Celeste Impero è stato al centro delle dichiarazioni degli stessi player del lusso: ultimi in ordine di tempo a confidare in una normalizzazione della Cina sono stati Moncler, Zegna, oltre ai colossi Lvmh e Kering. Nel segmento sportswear, invece, le criticità sul fronte cinese hanno pesano sul trimestre di Adidas. Il colosso tedesco dello sportswear ha chiuso i primi tre mesi del fiscal year 2022 con un calo dei ricavi pari al 3%, scontando gli intoppi lungo la supply chain che attraversa il Sud-est asiatico. Complessivamente, i ricavi sono arrivati a quota 5,3 miliardi di euro, con una perdita da 400 milioni e condizionata da una Cina che ha agito da zavorra sui conti. Qui la flessione è arrivata al 35%, a causa delle restrizioni che hanno creato un “ambiente di mercato difficile”, ha spiegato il gruppo nella nota ufficiale.
Andrà monitorato anche il dato sulla fiducia dei consumatori. L’ultimo sondaggio di Ipsos condotto tra il 25 marzo e l’8 aprile 2022 ha riportato un “calo significativo” della consumer confidence nel Paese del Dragone. È probabile che questa tendenza al ribasso continuerà poiché il pubblico avverte la tensione delle pressioni pandemiche: lo stesso tasso di disoccupazione, riportato da sondaggi nazionali, è salito al 5,8% nel marzo 2022, il più alto da maggio 2020.