A poco più di un mese dall’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, la guerra del fashion a stelle e strisce al mondo intero entra nel vivo. E, dopo le parole e gli annunci altisonanti di Mr. Trump in campagna elettorale, ora inizia il confronto serrato con alcune delle realtà teoricamente più colpite da un eventuale innalzamento dei dazi e dall’avvio della politica protezionistica nordamericana. Oggi, infatti, il neo presidente si incontrerà con gli amministratori delegati di otto importanti retailer statunitensi, tra cui Target, Best Buy e JC Penney, per discutere della riforma fiscale e del miglioramento delle infrastrutture. Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, l’incontro verterà soprattutto sulla proposta che prevede un taglio dell’imposta sul reddito della società dal 35 al 20% ma, di contro, un rialzo della tassa sulle importazioni di beni stranieri fino al 20 per cento. Argomento spinoso per i manager dei grandi rivenditori americani, che rischiano così di dover far fronte all’aumento dei prezzi al consumo, rischiando di veder lesinati gli utili societari.
Ma le preoccupazioni varcano ovviamente le frontiere americane. Anche la moda italiana e, più in generale, l’intero made in Italy si sta interrogando sul futuro delle esportazioni negli Stati Uniti, il terzo principale bacino estero per il tessile-moda, con l’inizio della guerra dei dazi. Secondo una recente stima di Prometeia, per il made in Italy l’innalzamento delle barriere doganali annunciato da Mr. Trump potrebbe costare qualcosa come 345 milioni di euro. Numeri rilevanti che però, secondo un’inchiesta pubblicata sul prossimo numero di Pambianco Magazine, vanno in qualche modo ridimensionati. Il motivo? Già ora le tariffe di ingresso per i prodotti legati all’abbigliamento nel suo insieme superano mediamente il 10% con punte che vanno dal 15 al 19 per cento. E, difficilmente, in ambito del Wto, potranno essere alzati ulteriormente. Senza dimenticare, poi, che la manifattura americana, soprattutto nel segmento a monte della filiera, resta piuttosto debole se non assente. Perciò, il risiko protezionistico potrebbe anche trasformarsi in interessanti occasioni per l’Italia.
Insomma, per la moda italiana si prospettano ancora incognite all’orizzonte, ma le previsioni potrebbero essere meno cupe del previsto.