Oltre 20 milioni di consegne in un mese, solo in Italia, per un mercato che vale circa 40 miliardi di euro. Ai grandi numeri dell’e-commerce, tuttavia, corrispondono sfide altrettanto rilevanti di impatto ambientale, legate a modelli logistici votati all’immediatezza e all’azzeramento dei costi al consumatore. Con l’aumento degli acquisti online, dunque, aumentano le emissioni di gas serra legate al trasporto dei prodotti. Questi ultimi, inoltre, portano con sé involucri e imballaggi, il cui smaltimento immediato ha sollevato la necessità di alternative green alla plastica. La sostenibilità supera dunque i confini della filiera, portando aziende e player digitali a intervenire sul packaging e a riflettere sulla sostenibilità economica di opzioni come i resi gratuiti.
Plastica al bando
Zalando è stato tra i primi e-tailer ad avviare una svolta green a partire dal packaging. “La nostra visione per il 2020 è quella di diventare la piattaforma leader per la moda sostenibile in Europa”, ha spiegato Melanie Hultsch, senior corporate responsibility manager di Zalando. “La sostenibilità nell’e-commerce della moda non si applica solo al settore tessile, ma anche al modo in cui gli articoli sono confezionati per la consegna”. Il portale tedesco ha scelto di convertire le beauty bags dalla plastica alla carta, rendendole così riciclabili e riutilizzabili. Dal canto suo, il competitor Asos ha deciso di utilizzare il 25% di materiale riciclato per i sacchetti che avvolgono i prodotti spediti e scatole di consegna composte da materiali riutilizzati.
Negli Stati Uniti, i casi virtuosi sono quelli di Pvh e Reformation. Secondo il Corporate Responsibility Report del 2018, il 74% del packaging utilizzato dalla controllante di Calvin Klein e Tommy Hilfiger è riciclabile. Pvh è stata inoltre la prima azienda di abbigliamento ad aderire a How2Recycle, un progetto lanciato dalla Sustainable Packaging Coalition, che indica ai clienti come riciclare i materiali di imballaggio. Il brand californiano Reformation impiega già involucri 100% compostabili: una volta utilizzati, gli imballaggi, che possiedono un ciclo di vita non superiore ai tre mesi, possono essere gettati nei rifiuti organici. Tra le maison del lusso, infine, chi ha già eliminato la laminazione plastica dai suoi sacchetti per le vendite al dettaglio è Burberry, che, entro il 2025, ne bandirà la presenza in tutte le forme di packaging.
Le abitudini di consumo
Le alternative green alla plastica richiedono maggiori sforzi economici e di ricerca alle aziende e, di conseguenza, un costo più alto per i consumatori finali. Questi ultimi sono però disposti a pagare di più? Secondo un report di Barclays Corporate Banking, in Gran Bretagna solo il 38% dei consumatori si dichiara disponibile a pagare un extra affinché i prodotti acquistati online arrivino alla loro porta in un pacchetto attento all’ambiente. “Per guadagnare la fedeltà dei clienti e attirarne di nuovi, i retailer devono dimostrare di essere attenti alle problematiche ambientali”, spiega Karen Johnson, a capo della divisione retail e wholesale di Barclays. “Il punto della questione, però, è capire chi può accollarsi i costi di questi sforzi: la nostra ricerca evidenzia come i consumatori non siano disposti a farlo”. Le abitudini di consumo tornano al centro delle riflessioni anche in tema si sostenibilità dei resi gratuiti. Ordinare online grandi quantità di indumenti a costo zero, e farsi recapitare un numero considerevole di prodotti per acquistarne solo una minima parte. O non acquistarli affatto. Sembrano infatti andare in questa direzioni le abitudini di quanti fanno shopping online, tanto da rendere la gestione dei resi e della logistica a essi connessa la sfida maggiore per i player dell’e-commerce.
I resi gratis sono sostenibili?
Secondo il portale Fast Company, entro il 2020 i returns costeranno alle aziende circa 550 miliardi di dollari (circa 450 miliardi di euro) a livello globale, il 75% in più rispetto a quattro anni fa. Quelli economici non sono gli unici ‘danni’ da tenere presenti: negli Stati Uniti, il trasporto ha superato le centrali di energia nella produzione di gas serra, la maggior parte dei quali imputabile alle consegne last mile, ovvero ai furgoni che portano la merce nelle case. Per prevenire l’eventuale ‘bolla dei resi gratuiti’ dovranno cambiare le abitudini dei consumatori. Un sondaggio di Checkpoint Systems con un focus sul mercato inglese ha rivelato che, su poco più di 1.500 consumatori, oltre un quinto ha ammesso di acquistare vestiti con l’intenzione di indossarli e poi restituirli, un fenomeno chiamato wardrobing. L’abbigliamento è la categoria merceologica più soggetta al wardrobing, seguita dall’elettronica e dalle calzature. Spedizioni e resi gratis influenzano le decisioni d’acquisto della maggior parte dei consumatori. Questa aspettativa, che gli e-tailer cercano di soddisfare, rappresenta un costo significativo a livello logistico. Di recente, Amazon e Sephora hanno bannato i consumatori che rendono prodotti troppo spesso, mentre Asos ha dichiarato guerra ai ‘restitutori seriali’ rendendo noto che, “nel caso notasse qualcosa di insolito, indagherà e procederà di conseguenza”.