L’accelerazione verso la sostenibilità comporta anche pericoli di sbandata. Negli ultimi mesi, le aziende del fashion hanno gareggiato a colpi di iniziative eco-friendly e riconoscimenti green. Un’euforia che favorisce situazioni in cui è facile perdere di vista l’effettiva applicazione dei dettami imposti dall’etica sostenibile. In una tale accelerazione, insomma, si creano ampi spazi per il fenomeno del ‘greenwashing’, la strategia di comunicazione che costruisce un’immagine ingannevolmente positiva dell’impatto ambientale prodotto dalle aziende che la adottano. La questione è che diventa sempre più chiaro quanto la sostenibilità non si giochi unicamente nel prodotto (vedi gli altri articoli di questo dossier), ma coinvolga una molteplictà di momenti altrettanto importanti del ciclo di vita della moda. Ovvero, la sostenibilità si deve valutare sull’intero ‘processo’. Per calcolare l’impatto ambientale di un prodotto, quindi, non si può prescindere da metriche e sistemi di rilevazione capaci di uniformare le informazioni e, fatto sempre più cruciale, di garantirne la veridicità (e una facile verifica). Ecco perché la tecnologica diventa un’alleata della sostenibilità, come il progetto blockchain lanciato quest’anno a livello governativo, ma rimasto per ora congelato dai cambi di esecutivo. E perché un altro alleato chiave sono gli standard e le normative.
L’appello di sistema moda italia
In occasione del convegno ‘Viaggio verso la sostenibilità della filiera’, tenutosi il 4 ottobre presso la sede di Confindustria Moda, Sistema Moda Italia (Smi) ha acceso i riflettori sulla questione. Dall’incontro è emersa l’esigenza di un approccio, da parte dei principali player del settore del fashion, che trascenda astrazioni, sensazionalismi e fake news, spesso sconfinanti nel greenwashing, ma che vada dritto al punto nevralgico della questione, sviscerandone gli aspetti più significativi e concretizzando l’impegno green che troppo spesso si professa, ma che troppo poco si attua realmente.
“La nostra filiera – ha spiegato nel discorso di apertura dei lavori Marino Vago, presidente di Smi – si allena da vent’anni nella corsa alla sostenibilità, ed è per questo che dico con orgoglio che siamo pronti a vincere anche questa nuova competizione. Chiediamo, però, che le regole siano uguali per tutti, che la sostenibilità sia fatta di numeri, di dati misurabili e confrontabili, e non solo di puri enunciati. Chiediamo di essere valutati con onestà intellettuale e che le informazioni rilevate siano messe a disposizione del consumatore con assoluta trasparenza. Senza tracciabilità, è impossibile parlare di sostenibilità”.
“Oggi più che mai vi è l’esigenza di un approccio differente al tema della sostenibilità, troppo spesso utilizzata come leva di marketing o, peggio ancora, di greenwashing, in modo pericoloso e riduttivo – ha dichiarato a Pambianco Magazine Andrea Crespi, presidente del Comitato Sostenibilità di Smi e direttore generale di Eurojersey -. Si parla sempre di cosa si sta facendo in termini di sostenibilità, ma è arrivato il momento di far luce su come si sta facendo ciò che è definito ‘sostenibile’”. Obiettivo di Smi, infatti, è stato quello di condividere con le aziende un metodo efficace, che valuta la sostenibilità della filiera calcolando l’impatto che essa produce, traducibile negli strumenti operativi Pef e Oef.
Pef e Oef
Per dare impulso al cambiamento e migliorare la propria operatività, le aziende della moda possono misurare le proprie performance ed essere dunque in grado di comunicare i passi avanti compiuti nella direzione della sostenibilità. L’adozione di una metodologia raccomandata a livello Ue, che si declina negli acronimi di Pef (Product Environmental Footprint) e Oef (Organization Environmental Footprint) è, in tal caso, una strategia innovativa, efficace e trasparente per misurare l’impronta ambientale rispettivamente di un prodotto (Pef) o di un processo (Oef). La procedura, tramite l’analisi di 16 indicatori ambientali, di cui saranno selezionati i più rilevanti, scatta una vera e propria fotografia del prodotto o processo cui è stata applicata. Esaminando il ciclo di vita di questi ultimi, le aziende possono dunque rilevare le proprie aree di miglioramento e incanalare maggiori risorse verso il perseguimento di tale obiettivo, aumentando la propria competitività e razionalizzando i costi. Grazie alla minuziosa analisi di tutte le fasi della supply chain, dall’estrazione delle materie prime alla produzione, passando per la distribuzione e l’utilizzo, fino alla gestione del fine-vita, il passo verso la riduzione degli impatti ambientali è breve. Gli strumenti operativi Pef e Oef non si limitano a fornire un’analisi e una conseguente valutazione di prodotti o processi relegati ai confini aziendali, ma consentono di estendere tale analisi anche oltre, garantendo alle aziende un maggiore controllo dell’intera filiera e permettendo loro, di conseguenza, di delineare asset strategici finalizzati all’aumento delle prestazioni ambientali.