Ancora una volta la moda mantiene il suo triste primato tra le categorie più gettonate nel mercato dei falsi. L’ultima valutazione delle minacce dei reati contro la proprietà intellettuale, elaborata congiuntamente da Europol e dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo), mostra che le importazioni di merci contraffatte hanno raggiunto i 119 miliardi di euro, con una predominanza di prodotti relativi ai settori abbigliamento e lusso. Abbigliamento, accessori, calzature, orologi, borse e piccola pelletteria rappresentano infatti quasi il 60 % del valore stimato di 2 miliardi di euro di tutti i sequestri segnalati nel corso del 2020; mentre sul piano geografico, la Cina (compresa Hong Kong) e la Turchia rimangono i principali paesi di origine di questi prodotti.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, la pandemia non ha di certo frenato questo fiorente mercato nero, poiché i contraffattori hanno spostato parte delle loro attività sul web e, soprattutto sui social e le app di messaggistica. Durante questo periodo, i contraffattori sono stati estremamente attivi nel promuovere sul web beni che violano i diritti di proprietà intellettuale. L’analisi delle conversazioni sui social media tenutesi tra aprile e settembre 2020 ha mostrato che l’abbigliamento, le calzature e i gioielli erano le tre categorie di merci più frequentemente menzionate nelle conversazioni online, e collegate rispettivamente al 36%, al 21% e al 20% delle conversazioni complessive relative a merci contraffatte.
Le reti criminali si sono evolute digitalmente e oggi utilizzano i social media e i servizi di messaggistica istantanea, nonché le piattaforme online per pubblicizzare e vendere abiti e accessori di abbigliamento contraffatti. In alcuni casi, link nascosti postati sui social media reindirizzano o guidano gli utenti verso marketplace con sede al di fuori dell’Unione Europea. L’indagine sottolinea come anche influencer e live-streaming sono spesso coinvolti in queste vendite: “Negli ultimi anni – si legge nel report -sono state segnalate vendite in live-streaming che promuovono beni contraffatti sui social media. Gli “influencer” possono apparire in video in cui articoli di abbigliamento e calzature contraffatti, video che si rivolgono principalmente ai giovani consumatori e che possono attirare migliaia di visualizzazioni. I venditori di merci contraffatte possono anche utilizzare la pubblicità sponsorizzata sui social media per indirizzare i clienti con offerte ingannevoli di sconti o prodotti di marca a basso prezzo messi in vendita su siti esterni”.
L’indagine segnala poi un altro crescente pericolo che dovrebbe preoccupare in particolare i player dell’industria fashion: il cybersquatting. Questa pratica comporta la registrazione in malafede e/o l’uso del marchio di un’altra società, o di un altro segno che è diventato un identificatore distintivo per quella società, in un nome di dominio, senza avere alcun diritto legale o interessi legittimi in quel nome di dominio. I nomi di dominio registrati dai cybersquatter non sempre contengono l’intero marchio legittimo o il nome del brand, ma piuttosto una variante che confonde deliberatamente, per esempio un leggero errore di ortografia o la sostituzione di una lettera con una cifra.
“I criminali – commenta il direttore esecutivo dell’Euipo, Christian Archambeau – hanno dimostrato la loro capacità di adattarsi alle nuove opportunità generate dalla pandemia e dobbiamo continuare a sostenere, attraverso la nostra stretta collaborazione con Europol, gli sforzi profusi dalle autorità di contrasto nella lotta ai reati contro la proprietà intellettuale”.