Franco Cologni, senior executive director di Richemont International, è cauto quando parla delle conseguenze della Sars sui bilanci.
Potreste cambiare i vostri programmi sulla Cina?
«Il Paese è grande, complicato e il governo, al di là della Sars, sta facendo. Se uno va a Shanghai non può dire che sia indietro, anzi, va avanti a una velocità supersonica. Si parla di una nuova civiltà industriale e terziaria che è la Cina: non si può non investirci».
Quanto pesa l'Asia, e in particolare la Cina, su Richemont?
«Il Far East, escluso il Giappone, circa il 18-19%. La Cina è irrilevante, se si esclude Dunhill, che realizza là tra il 5 e il 7% dei ricavi. Con gli altri marchi ci siamo come bandiera, non come business».
Che impatto avrà sui conti?
«Stiamo valutando. Quanto potrà toccare la metà di ciò che realizziamo in quell'area? E per quanto tempo? E' ancora presto. Se toccasse il 2, il 3% del fatturato non influenzerebbe i bilanci. Gli elementi difficili per i conti economici sono altri, più ampi, il dollaro, il blocco che era dovuto alla guerra… Forniremo i dati definitivi a giugno, tutti gli altri hanno cantato al 31 dicembre, ma anche noi a quella data eravamo contenti. Negli ultimi tre mesi è stato un calderone. Aspettiamo che passi un po' di acqua sotto i ponti, ci sarà, magari, qualche cadavere, ma chi ha un buon prodotto, una buona comunicazione e buoni clienti andrà avanti. Il più e il meno sono fisiologici. D'altra parte, dal '90 al 2000 le società del lusso sono cresciute ogni anno del 20%, non poteva andare avanti. Il problema è se diventa ogni anno -20%».
Estratto da CorrierEconomia del 5/05/03 a cura di Pambianconews