“I nostri negozi rimarranno temporaneamente chiusi e i tempi di restituzione saranno prolungati di 30 giorni dalla loro riapertura”. È con questa nota ufficiale diffusa sui siti israeliani che Inditex, colosso del fast fashion spagnolo, ha annunciato un arresto temporaneo delle sue attività – gestite in franchising con Trimera Brands – sia negli store fisici che online. La decisione consegue lo scoppio improvviso della guerra in Israele scaturito dall’attacco sui civili nella Striscia di Gaza per mano del Movimento di Resistenza Islamica Hamas, avvenuto lo scorso sabato 7 ottobre.
Così come Inditex, anche la catena svedese H&M ha annunciato nel Paese protagonista del conflitto il rallentamento dei tempi di consegna e chiuso temporaneamente i suoi punti vendita a Tel Aviv; è prevedibile, infatti, che si allunghi la lista dei nomi del fashion (e di molti altri settori) intenzionati a mettere in pausa le loro attività, soprattutto per garantire la sicurezza dei propri dipendenti. Tra le altre aziende spagnole che operano nel mercato israeliano, infatti, figurano anche Mango, Tous, Mascaró e Brownie, che ancora non si sono pronunciate su eventuali provvedimenti.
Oltre al settore moda – nel 2022 l’export mondiale di prodotti fashion in senso allargato (comprensivi di abbigliamento, calzature, accessori, cosmetici e gioielli) verso il Paese ha raggiunto un valore di 306,5 milioni di euro, rispetto ai 265,4 milioni dell’anno precedente – sono molti altri i comparti che hanno interrotto il commercio. Tra questi LG Electronics, l’azienda farmaceutica Eli Lilly and Co., le società di logistica FedEx, Ups, ma anche JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America e Morgan Stanley hanno deciso di chiudere temporaneamente le filiali.
Di Sara Rezk