Shein investe nella supply chain. Il drago della moda low cost è impegnato a completare il proprio fondo dedicato al miglioramento della catena di approvvigionamento che sta dietro le quinte della sua produzione sterminata di capi e accessori, stanziando altri 55 milioni di dollari (circa 49,7 milioni di euro). Il fondo era stato aperto dal colosso cinese alla fine dello scorso anno, con un budget da 15 milioni, all’indomani delle ennesime accuse rivolte a un modello produttivo e di business ritenuto insalubre e insostenibile.
Nell’orizzonte di medio termine, dunque, Shein prevede di investire 70 milioni di dollari nell’arco dei prossimi cinque anni per supportare e potenziare i propri fornitori, implementando soluzioni alternative per snellire ed efficientare la propria supply chain. Lo ha dichiarato ieri la società dopo che, ricorda Business of Fashion, lo scorso anno un documentario televisivo britannico ha affermato di aver riscontrato abusi sul lavoro in due fabbriche dei suoi fornitori.
La gran parte del denaro destinato a rimpinguare il fondo sarà impiegato, nello specifico, per un nuovo centro di ricerca, sviluppo e formazione incentrato proprio sulla sofisticazione del modello targato Shein. Ma il player prevede anche di impegnare 10 milioni di dollari in alloggi e strutture ricreative e 5 milioni di dollari per costruire, e reclutare il personale necessario, a 60 asili nido nelle comunità in cui operano i suoi fornitori.
Non è la prima tra le iniziative di Shein per cercare di muoversi nella direzione di una maggiore sostenibilità, ma difficilmente i suoi saranno interpretati come sufficienti, a fronte di un modello di business che dal 2008 verte sulla crescita spasmodica e sulla produzione di un’ingente mole di capi e accessori a prezzi stracciati, facendo della quantità il proprio mantra.
Risale a quasi un anno fa, tra gli altri, l’investimento da 50 milioni di dollari in progetti di economia circolare, con al centro il tema dello smaltimento dei rifiuti tessili. Intanto, resta nell’aria la quotazione in Borsa per il colosso del fast fashion, che ha avuto colloqui iniziali con diverse banche d’investimento per scegliere i lead bookrunner per l’Ipo negli Stati Uniti.