Dior vola in India. Il prossimo 30 marzo il luxury brand di Lvmh presenterà la collezione pre-fall 2023 presso lo storico monumento Gateway of India a Mumbai. La notizia è stata riportata da Business of Fashion e confermata a Pambianconews dalla maison francese. Lo show rappresenterà il primo evento autonomo organizzato nel Paese asiatico da una griffe europea.
Alcuni degli indumenti della collezione, svelata via lookbook a dicembre e in vendita da fine aprire 2023, sono impreziositi da intricati ricami di Chanakya, un atelier nonché scuola di artigianato femminile con sede a Mumbai. L’atelier, guidato da Karishma Swali, nel corso degli anni ha fornito ornamenti per numerosi player del lusso e ha prodotto le scenografie di alcune sfilate di Dior. La direttrice creativa del womenswear della label, Maria Grazia Chiuri, collabora spesso con le realtà artigianali locali dei Paesi scelti per ospitare le sue collezioni. “Per me sfilare in India significa anche celebrare l’eredità dell’India nel ricamo e quanto sia importante nel mondo della moda”, ha dichiarati Chiuri a Bof.
La partnership con Chanakya riflette anche l’intento della designer di sottolineare i valori femministi della label; gli artigiani indiani che decorano i vestiti sono tradizionalmente maschi. La missione della Chanakya School of Craft è conferire alle donne di gruppi a basso reddito le competenze per guadagnarsi da vivere nel settore, Chiuri ha più volte lavorato affinché progrediscano le capacità femminili, collaborando con artiste donne, fotografe e artigiane.
Secondo quanto riportato da Bof, i ricavi annuali di Dior sarebbero triplicati dall’arrivo di Chiuri arrivando a circa 8,8 miliardi di euro lo scorso anno, secondo le stime del gruppo bancario Hsbc. Inoltre, Bain stima che la spesa di lusso dei consumatori indiani raggiungerà i 25-30 miliardi di euro entro il 2030, rispetto a meno di 8 miliardi di euro l’anno scorso, anche se, riporta Bof, “la maggior parte di tale spesa avverrà all’estero poiché il settore del lusso indiano rimane sfidato da infrastrutture di vendita al dettaglio limitate, elevate imposte di importazioni e complessità operative che vanno da un ambiente normativo burocratico a vincoli di investimento, che rendono difficile per i marchi stranieri fare affari senza un partner locale”.