“La vera sfida di Stella McCartney è scegliere in che direzione andare per mantenere il ruolo di leadership nella moda sostenibile”. È questo l’orizzonte del marchio britannico dalla vocazione green, ha prospettato il suo presidente e amministratore delegato Gabriele Maggio durante il 27° Pambianco – Pwc Fashion Summit di ieri.
In collegamento da Londra, il manager italiano, uno dei CEO del Belpaese alla guida di brand del lusso internazionali, Maggio ha ripercorso in quest’occasione il suo percorso per approdare alla maison Uk, durato quasi 30 anni e costellato di esperienze in realtà luxury come Gucci, Helmut Lang, Bottega Veneta e Moschino, con ruoli che hanno spaziato dal commerciale al prodotto. Arrivato alla direzione generale di Stella McCartney nel 2019, il suo ingresso ha coinciso con la nuova dimensione del brand all’interno dell’orbita di Lvmh, di cui detiene una quota di minoranza.
“Nonostante le sue origini conosciute e rinomate, Stella ha mantenuto un’umiltà e un senso della realtà molto spiccati”, ha detto Maggio. A ispirarla, soprattutto la madre, fotografa, vegana e attivista, grazie alla cui influenza ha maturato uno spiccato senso di responsabilità verso il pianeta in generale. Ha studiato alla Saint Martins, dove si è diplomata nel ’95 e dal ’96 ha preso la gestione dell’ufficio design di Chloé fino alla nascita del suo brand, nell’alveo del gruppo Kering, da cui ha poi preso le distanze per iniziare l’avventura con la famiglia Arnault.
Avanguardista e precorritrice dei tempi, a suo mondo Stella McCartney svolge all’interno del gruppo Lvmh, ha raccontato Maggio, il ruolo di catalizzatrice del processo di “sostenibilizzazione” delle aziende, con un approccio che “non è un punto di vista anche conveniente in questo momento ma una visione, l’unica realtà che lei concepisce: prendersi cura degli animali, delle persone, del pianeta”.
Un percorso iniziato quando la strada verso la moda sostenibile era ancora impervia e difficoltosa, soprattutto sul fronte del reperimento di materiali ‘cruelty free’. Ora, però, si pone il tema della competizione, in un panorama in cui l’attenzione alla produzione sostenibile è sempre di più una condizione imprescindibile per i brand e i consumatori sono sempre più sensibili al tema. “La difficoltà rimane sempre alta, anche perché raggiunto un obiettivo ce ne poniamo un altro più ambizioso. Sta diventando più complicato da un certo punto di vista perché le aspettative da parte del clienti in questi termini sono sempre più elevati. Se prima bastava poco per fare la differenza, ora si deve fare molto di più, hai bisogno di dare visibilità alla filiera, controllare la qualità della gestione della produzione. L’ultima collezione ha raggiunto circa il 91% di sostenibilità”.
Molti fornitori e produttori, inoltre, si stanno dimostrando sempre più aperti all’innovazione su questo fronte, dimostrando una propensione al cambiamento prima appannaggio solo di aziende visionarie. Anche la filiera tricolore si sta sensibilizzando alla questione green. Spiega il CEO: “C’è un folto numero di piccole-medie aziende in Italia che ti offrono un prodotto molto interessante dal punto di vista sostenibile e anche qualitativo. La nostra produzione di borse e scarpe è basata principalmente in Italia, unica nazione con cui siamo riusciti a costruire un rapporto di crescita e sviluppo in termini di materiali che rispettassero i nostri standard”.
La sfida del prossimo futuro, dunque, sarà quella di individuare una via da percorrere per mantenere il primato nella moda green e nel contempo ispirare l’intero settore a progredire in questa direzione.