Patagonia si schiera ancora a favore dei diritti umani. Dopo la sentenza della Corte Suprema di Washington, che ha ribaltato la storica sentenza Roe v. Wade, dal 1973 fino a oggi garante del diritto all’aborto in tutti gli Stati Uniti, il brand di articolo sportivi ha reso noto che coprirà le spese di viaggio, alloggio e procedure nel caso le dipendenti avessero la necessità di recarsi in un altro Stato federato per porre fine a una gravidanza.
Ma non è tutto. L’azienda californiana ha aggiunto che “pagherà la cauzione per il rilascio di tutte le lavoratrici dell’azienda, nel caso in cui vengano arrestate durante proteste pacifiche a favore del diritto all’aborto”. Proseguendo: “Prendersi cura dei lavoratori va oltre la copertura assicurativa sanitaria di base”, ha comunicato in una nota ufficiale.
Una presa di posizione chiara che non stupisce da parte di Patagonia, nota per la sua militanza nelle battaglie sociali e ambientali. Da sempre politicamente attiva, Patagonia incoraggia i propri dipendenti a partecipare alla vita civile, offrendo formazione sulle tematiche più urgenti e concedendo ai lavoratori il tempo di recarsi a votare in occasione di ogni elezione.
Il marchio di outdoor non è comunque l’unica voce d’oltreoceano a essersi levata contro la sentenza che ha abolito l’aborto a livello federale: nella schiera, tra le tante, anche Apple, Meta, Disney, Live Nation.