Nel 2022 i prezzi del fast fashion dovrebbero toccare (ulteriori) rincari, segnando fino a un +10% sull’anno precedente. Concordano su queste stime alcuni analisti interpellati da Pambianconews, che vedono inoltre nel cambiamento del price-mix di colossi come Zara, H&M o dell’italiana Ovs un nuovo elemento di concorrenza per tutti quei fashion brand di fascia media che già accusavano un rallentamento prima della pandemia e che ora potrebbero veder rosicchiate altre quote di mercato.
Le cause dell’aumento dei prezzi nel settore moda, a livello globale, sono ormai chiare: i rialzi rispondono infatti all’aumento del costo delle materie prime (fibre naturali e sintetiche), all’aumento del costo dell’energia, dei noli marittimi internazionali e degli affitti. Meno soggetto a fluttuazioni, dunque più strutturale, anche il maggior costo del lavoro e del personale. All’origine delle strozzature nelle catene di approvvigionamento e dell’assottigliamento delle scorte in molti settori industriali c’è la pandemia, ma non è trascurabile anche il profondo cambiamento delle abitudini di consumo.
“Le nostre stime sono in divenire – ha spiegato a Pambianconews Domenico Ghilotti, co-head dell’ufficio studi di Equita –, ma ci attendiamo un aumento intorno al 10% dei prezzi del fast fashion. La dinamica inflativa coinvolge tutte le aziende, ma sono ovviamente i player più grossi a gestirla con minori difficoltà. Chi ha i maggiori volumi di crescita ha maggiori possibilità di negoziare la fornitura. Siamo tuttavia scettici rispetto al fatto che un mercato possa crescere in volume nel momento in cui i prezzi aumentano”.
“Quest’anno – ha spiegato l’Area Studi di Mediobanca – l’aumento dei prezzi del fast fashion dovrebbe collocarsi nel range del 4-6 per cento. È un incremento inferiore rispetto al +12-15% atteso per il lusso. Inoltre, il leggero cambio di posizionamento, con la spinta su proposte premium, permette di procedere a un rialzo dei listini in maniera meno evidente: le aziende di questo segmento tendono a rimanere price leader nelle proposte basic, mentre le linee premium, più accattivanti stilisticamente e create a partire da materiali di maggior pregio, consentono rialzi maggiori”.
Secondo i dati di Retviews, il segmento premium per Inditex è passato dal 4,1% del 2020 al 4,8% del 2021, grazie anche al lancio di linee come Studio Collection e Zara Origins. Per H&M, nello stesso periodo di tempo, il peso della fascia di prezzo più alta è passato dal 5,49% al 5,6%, alimentato da collezioni come Conscious Exclusive o Innovation Circular Design Story. Da tener presente, infine, la scelta dei tessuti per le nuove proposte: per entrambi i gruppi nel 2021 si riscontra un maggiore utilizzo di cashmere (+0,36% per Zara, +0,54% per H&M), pelle (+3,98% per Zara, +0,82% per H&M) e lana (+2,26% per Zara, +1,74% per H&M).
La strategia risponde, oltre all’inflazione, anche alla necessità di portare sul mercato proposte a minor impatto. La sostenibilità è del resto la carta che il fast fashion deve giocare per un cambio di posizionamento e di percezione. Oltre agli esempi già citati è significativo, in questo senso, il lancio da parte della catalana Mango di Alter Made, “un nuovo concetto che ruota intorno al benessere, alla sostenibilità e al consumo consapevole”. Il nuovo marchio di moda femminile, indipendente da Mango e con un prezzo più alto, offrirà una collezione essenziale composta da capi fatti per durare, senza tempo e di alta qualità con caratteristiche sostenibili.
La spinta sul premium non risponderebbe invece alla necessità di volontà di differenziarsi “dall’ultra low cost” del ‘drago’ Shein che, lanciato nel 2008 a Nanchino, inquadra oggi uno dei più grandi business di moda online del mondo. “Il modello operativo di Shein – ha precisato sempre l’Area Studi di Mediobanca – si avvicina più a quello delle inglesi Asos e Boohoo che ai gruppi del fast fashion. Tutti questi e-tailer hanno vissuto un vero e proprio boom nel 2020”.
Il 2022 vedrà con ogni probabilità un bilanciamento tra fisico e digitale per il fast fashion: “L’e-commerce – ha concluso Domenico Ghilotti di Equita – ha dato una spinta al settore perché ha permesso di presidiare aree dove la flotta di negozi non era presente. Il vero plus però è l’esperienza omnichannel. È il vantaggio competitivo dei leader di mercato: rispetto ai pure player o anche rispetto alla stessa Amazon chi può offrire un’esperienza di shopping sia fisico che digitale beneficerà della voglia dei consumatori di tornare in negozio”.