Second hand, politiche di sostenibilità e importanza della Cina come mercato di sbocco. A riflettere attorno a queste tematiche strategiche, alla stregua del lusso internazionale, è anche il settore dell’orologeria rossocrociata. Lo conferma un sondaggio condotto da Deloitte Svizzera, che ricorda come il segmento abbia imboccato la via della ripresa.
Dopo un 2020 difficile, con un forte calo delle vendite dovuto alla contrazione dei viaggi e alla chiusura di punti vendita e stabilimenti di produzione, l’export ha ripreso vigore soprattutto nel segmento di fascia alta. Gli orologi di lusso con prezzi all’esportazione superiori a 3mila franchi sono stati un’ancora di salvezza per la maggior parte dei marchi orologieri, con un aumento di sette punti percentuali, nel primo semestre del 2021, rispetto ai livelli del 2019, come risulta dai dati sull’export della Fédération Horlogère svizzera . “Il 24% dei dirigenti intervistati nel sondaggio – spiega Deloitte – prevede che l’industria orologiera svizzera raggiunga i volumi di vendita pre-pandemia entro la fine di quest’anno, il 36% lo ritiene possibile entro la fine del 2022 e il 25% entro la fine del 2023”.
L’importanza della Cina quale mercato di sbocco per gli orologi svizzeri è diventata ancora più evidente durante la pandemia. Nel corso del primo lockdown in Europa, nella primavera del 2020, le esportazioni di orologi svizzeri in Cina sono più che raddoppiate, raggiungendo il 22% di incidenza sull’export.
“La pandemia – ha commentato Giovanni Faccioli, Fashion & Luxury market leader di Deloitte Italia – è servita ad accelerare varie tendenze, compresa l’importanza sempre maggiore della Cina per l’industria orologiera svizzera. Molti marchi si stanno adattando al fatto che ora i clienti cinesi fanno più acquisti all’interno dei confini nazionali a causa delle restrizioni di viaggio, e si stanno espandendo fortemente in tale mercato”.
Quanto al secondo polso, gli orologi di lusso usati sono sempre più ricercati: è probabile o molto probabile che quasi un consumatore su tre (32%) ne acquisterà uno nei prossimi dodici mesi, con un aumento di quasi il 50% rispetto all’indagine dell’anno scorso. L’acquisto di modelli pre-owned viene preso in considerazione per il prezzo più basso (44%), la possibilità di acquistare un modello fuori produzione (31%), a scopo di investimento (26%) e per motivi di sostenibilità (25 per cento).
La tendenza è ancora più marcata tra i giovani. Molti dei dirigenti interpellati (67%) ritengono, del resto, che gli orologi usati siano un’opportunità per consentire a una nuova clientela di conoscere il proprio marchio o di entrare nel mercato del lusso in generale.
Quasi i due terzi (65%) degli intervistati stanno attuando un qualche tipo di strategia per il mercato dell’usato certificato. “Da decenni – ha aggiunto Faccioli -, l’industria automobilistica fa leva sull’usato certificato. Bello vedere che anche il settore orologiero sta abbracciando questa tendenza. I brand potranno così fornire maggiori garanzie sul mercato dell’usato in termini di qualità, affidabilità e autenticità”.
Infine, il 72% dei brand orologieri sta aumentando gli investimenti in sostenibilità e il 16% intende farlo. Alla domanda su quali siano gli aspetti più importanti della sostenibilità, le risposte più quotate sono la catena di fornitura equa, l’impatto ambientale dei materiali e gli imballaggi.