C’è l’intesa sulla tassazione globale minima, la Minimum tax proposta dagli Usa che prevede sostanzialmente la tassazione dei profitti ad hoc per circa 100 colossi di rilievo globale (da Amazon a Microsoft fino a Google e Facebook) in tutte le nazioni dove operano. L’idea ha incassato nei giorni scorsi l’appoggio delle principali economie al mondo che fanno parte dell’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi. Ma all’appello manca il sì di nove Paesi dell’area Ocse. Si tratta di alcuni Paesi Ue a bassa tassazione, ovvero Irlanda, Estonia e Ungheria, oltre a Perù, Barbados, Saint Vincent e Grenadine, Sri Lanka, Nigeria e Kenya.
La misura, già avallata dal G7, potrebbe fruttare circa 150 miliardi di dollari di entrate fiscali globali aggiuntive ogni anno, ma l’Ocse ha calcolato che le tasse aggiuntive potrebbero anche arrivare a 240 miliardi. L’accordo più ampio sarà esaminato dal Gruppo delle Venti maggiori economie (G20), per raggiungere un’approvazione politica, in una riunione a Venezia la prossima settimana. La nuova aliquota minima di almeno il 15% si applicherebbe alle società con un fatturato superiore alla soglia di 750 milioni di euro (889 milioni di dollari), con l’esenzione solo del settore marittimo.
I dettagli tecnici devono essere concordati entro ottobre in modo che le nuove regole possano essere implementate entro il 2023. Ciò che preoccupa è che, nell’Unione europea, l’accordo richiederà l’approvazione di una legge dell’Ue, molto probabilmente durante la presidenza francese nella prima metà del 2022, e ciò richiederà il sostegno unanime di tutti i membri dell’Ue. L’Ungheria ha fatto sapere che un accordo di questo tipo ostacolerebbe la crescita, ma ha aperto la possibilità a colloqui costruttivi. Budapest ha una corporate tax del 9%, l’aliquota più bassa nell’Unione europea. L’Irlanda è da tempo un Paese della forte attrattività fiscale, il che ha consentito di portare nel Paese i quartier generale di colossi come Google, Apple e Facebook. Le nuove regole metterebbero ora in pericolo l’appealing fiscale, mettendo a rischio entrate per due miliardi di euro all’anno.