Priorità alle persone, omnicanalità in chiave locale e maggiore attenzione alla sicurezza sono i fattori chiave che permetteranno ai brand di moda di coinvolgere i consumatori nel post-pandemia. È quanto emerge dalla ricerca The Future of Retail Store and Customer Engagement in the New Normal, condotta dagli studenti di Sda Bocconi e promossa da Salesforce. Il questionario è stato sottoposto a centinaia di consumatori in tutta Europa, ma anche a diversi manager di aziende che hanno delineato i trend futuri.
La sostenibilità non solo continua a giocare un ruolo prioritario per le scelte di acquisto, ma diventa anche un elemento che giustifica il premium price. Lo conferma il fatto che oltre la metà dei consumatori si dice disposto a spendere dal 5 al 20% in più per capi di abbigliamento con un impatto ambientale e sociale significativo, mentre l’82% si aspetta che le aziende di moda scelgano per prima cosa la salute, la sicurezza e il benessere dei dipendenti. Emerge quindi che il 66% chiede il benessere dei lavoratori, il 35% la trasparenza di filiera e il 33% i consumi ridotti di acqua ed energia nella produzione.
Dalla ricerca emerge che i consumatori si orientano ai piccoli rivenditori locali solo se il prezzo dei prodotti è contenuto e la modalità di acquisto risulta semplice, grazie ad esempio a un sito web. “Se un’azienda non ha una strategia digitale, di fatto non ha una strategia”, ha commentato Alessandro Paglioli, regional vice president di Salesforce per il mercato retail. “Il settore moda nel suo complesso, dalla piccola bottega di quartiere al grande multimarca, deve saper ingaggiare attraverso il digitale anche in termini di prossimità. Non solo perché i negozi sono stati colpiti dalle chiusure, ma anche perché i consumatori hanno imparato a non fare più a meno della multicanalità e dell’online per i loro acquisti”.
Non solo. Anche il sentiment nei confronti del “made in” sta cambiando. Il Paese di origine di un prodotto resta un fattore di scelta significativo per chi ha più di 55 anni (53%). Tra i consumatori al di sotto dei quarant’anni il fattore “made in” fine a se stesso conta poco (appena del 30% per i Millennial) mentre a contare realmente sono la trasparenza e la tracciabilità della filiera. In sostanza, per i più giovani, un prodotto “made in China” può essere ritenuto di maggior valore se dotato di infomazioni sulla sua tracciabilità rispetto a un prodotto “made in Italy” di cui non si sa nulla.
E se per le nuove generazioni il value for money è una priorità nelle scelte di acquisto (73%), la tendenza a comprare il second-hand è stata confermata dal 69% del campione, disposto a pagare un prezzo premium per vestiti usati. Questo gruppo preferisce investire in capi con una maggiore qualità (54%) e destinati a durare nel tempo (45%).
Infine, cambio di paradigma sul nuovo ruolo dei sales assistant, che con la pandemia sono diventati dei veri e propri virtual personal shopper capaci di guidare il cliente nel processo di acquisto online e permettendo così di generare una connessione e un legame molto più forte con il brand. Tramite le sessioni online dedicate, i consumatori hanno avuto modo di ricevere un’attenzione particolare. Ciò determina un passaggio culturale dal b2c al nuovo h2h, ovvero a un modo di fare business human to human.