Una nuova corrente di pensiero sta scuotendo il mondo della moda: l’idea che il sistema sia arrivato a un importante punto di discontinuità e debba fronteggiare un profondo ripensamento delle proprie logiche e dinamiche, in direzione di una generale riduzione di velocità. Indubbiamente, il sogno di una moda ‘slow’ ha un certo fascino, anche in rapporto alle tensioni che da tempo attraversano il settore, messo a confronto con la sfida della sostenibilità ambientale e della trasparenza dettata dai social. E questo fascino ha alimentato il notevole riscontro mediatico ottenuto dalle esternazioni slow avviate da Giorgio Armani, dall’autonomia reclamata da Saint Laurent e Gucci, dalle prese di posi- zione ufficiali di Londra e New York, di fatto, contro il proliferare di eventi e pre-collezioni. Tuttavia, è forse il caso di non farsi trascinare dall’onda emotiva. L’epidemia Covid 19 ha amplificato i problemi strutturali del sistema globale, e quelli specifici del sistema moda. Ed è perciò importante riuscire a ragionare sul percorso futuro, immaginandolo inquadrato in una nuova e ritrovata normalità.
Per quanto affascinante, dunque, occorre chiedersi se il modello slow garantisca un equi- librio di sostenibilità non solo ambientale, bensì anche di business. E qui il dubbio sorge a guardare come ci siano anche griffe che non hanno preso posizione o che, come Chanel, hanno addirittura dichiarato che, per loro, il modello non si tocca. Altrettanto significativo che le prese di posizione ufficiali siano arrivate dai due sistemi più in difficoltà, quello di New York e quello di Londra, peraltro i primi a lanciarsi, anche in passato, in rivoluzioni non sempre vittoriose, come il see now buy now.
Un altro aspetto su cui ragionare è la stessa maggiore sostenibilità ambientale di un model- lo slow. Per esempio, è lecito chiedersi se la riduzione delle collezioni porterà davvero a una riduzione dei volumi prodotti e venduti. Oppure, chiedersi quanto sia meglio, dal punto di vista del costo ambientale, concentrare gli eventi in una precisa settimana, o piuttosto disperderli nell’anno e nei luoghi.
Infine, la riflessione deve riguardare l’idea stessa di slow. Quanto può convivere un modello a velocità ridotta, in un mondo che, inesorabilmente, procede al progressivo azzeramento dei tempi, delle distanze, delle dimensioni? Il rischio è quello di andare contro-tempo. E questo, solitamente, porta a esiti romantici, ma non sempre di successo.