Il Covid-19 impatta anche sulla policy dei resi della merce acquistata online. Negli Stati Uniti, fa sapere la stampa a stelle e strisce, molti retailer e brand di abbigliamento stanno estendendo le tempistiche dei resi di 30 o 60 giorni, se non di più. A determinare questi cambiamenti è, ovviamente, l’impossibilità per i clienti di recarsi negli store per sostituire la merce, così come nei pick-up point e in molti uffici postali. “Se la fidelizzazione dei clienti è un asset fondamentale per i prossimi mesi – si legge su Glossy – ci sono delle chiare sfide per tutte quelle aziende che estendono la politica dei resi, a partire dalla pressione finanziaria che ne deriva”.
Stando a un report di Appriss Retail, nel 2018 il valore dei prodotti resi in America è stato monstre: 369 miliardi di dollari, pari al 10% delle vendite globali. Statista ha invece calcolato che quest’anno i resi costeranno ai brand circa 550 miliardi di dollari (circa 506 miliardi di euro).
Tempi di restituzione più estesi aggiungono un altro livello di complessità al modo in cui i rivenditori gestiscono le loro attività durante la pandemia di Covid-19. “Molti – commenta la Cnbc – non sono ancora sicuri di quando i loro negozi potranno riaprire in sicurezza. E alcuni gestiscono le loro attività online con personale ridotto, dopo aver licenziato personale degli store e delle warehouse a seguito dello stop alle attività non essenziali”. Cercare di rivendere la merce restituita o semplicemente trovare abbastanza lavoratori che possano elaborare i resi nei centri di distribuzione potrebbe finire per danneggiare maggiormente le catene di grandi magazzini e i rivenditori di abbigliamento (in genere, secondo 1010data, circa il 17% dell’abbigliamento acquistato online viene restituito ai rivenditori).
Gap, Kohl’s, Victoria’s Secret e Macy’s sono solo alcune delle insegne che hanno esteso il periodo di tempo in cui è possibile fare dei resi.