Canada Goose ha scelto Milano per aprire il suo primo negozio in Italia, il secondo in Europa. Una piazza importante, quella meneghina, per il brand di piumini e abbigliamento tecnico di lusso nordamericano che, come spiegato a Pambianco Magazine da Dani Reiss, presidente & CEO nonché nipote del fondatore del marchio, intende svilupparsi nelle shopping destination più rilevanti a livello mondiale. Uno sviluppo, quello della realtà da 830,5 milioni di dollari canadesi (circa 566 milioni di euro), che passa anche dal riportare in house almeno il 50% della produzione, da un’attenzione puntuale alla sostenibilità e dalla valorizzazione del brand ‘Canada’.
Avete scelto Milano per il vostro primo store in Italia, nonché il secondo in Europa dopo Londra. Perché questa scelta?
Siamo un’azienda di oltre 60 anni. Circa 20 anni fa, abbiamo iniziato a costruire un consumer brand e uno dei mercati in cui abbiamo iniziato a farlo è stata l’Italia. Pertanto, dopo diversi anni di presenza in questa Paese, riuscire ad aprire uno store qui rappresenta un avvenimento speciale per noi. Ma non solo, Milano è una delle shopping destination più importanti e ciò che noi vogliamo è essere presenti nelle città più rilevanti a livello mondiale. Il mercato italiano, più in generale, è molto importante per il nostro business, sia perché, appunto, è stato uno dei primi Paesi in cui abbiamo iniziato, sia perché credo che il consumatore italiano ami i brand autentici e con heritage proprio come Canada Goose.
L’opening è avvenuto in concomitanza del lancio dell’e-commerce per il mercato italiano. Cosa rappresenta per voi il canale online e come si inserisce nella strategia di sviluppo retail?
L’online è super importante. Il nostro business direct-to-consumer, alla fine dello scorso anno, era poco inferiore al 52%, e un buon contributo è stato dato proprio dall’e-commerce. Non solo, i nostri canali online e offline viaggiano insieme, nel senso che se un nostro cliente non trova ciò che cerca in negozio viene supportato dai nostri brand ambassador a cercarlo sulla piattaforma e-commerce, e, nel caso qualcosa ordinato online debba essere cambiato, lo si può restituire in negozio. In futuro faremo altri investimenti in tecnologia per supportare questa trasversalità.
Quali sono gli altri progetti dal punto di vista retail?
Il nostro progetto per quest’anno è di aprire nove negozi. Quattro in Nord America, due in Europa, ovvero quello di Milano e un altro che aprirà a Parigi, a cui si aggiungono tre store in Cina.
Dalla quotazione in Borsa, il vostro titolo è salito molto, ma è anche andato parecchio in altalena. Come lo spiega? Ad oggi, come valutate questa scelta?
Penso che sia normale per il mercato e per un’azienda che sta crescendo molto velocemente. Siamo triplicati a livello di grandezza e abbiamo raddoppiato la profittabilità in un paio d’anni, e guardiamo in generale al lungo periodo, non alle fluttuazioni temporanee.
Avete annunciato di voler riportare almeno metà della produzione in house. A che punto siete? Questa operazione sta già dando i frutti sperati?
Stiamo andando molto bene, attualmente già quasi il 50% della nostra produzione è in house e ciò sta incominciando a dare i suoi frutti, con riflessi positivi sui margini. Non a caso, abbiamo aperto altri due stabilimenti in Canada l’anno scorso i quali, comunque, necessitano di ancora un po’ di tempo per arrivare alla piena efficienza. Attualmente, non prevediamo nuove aperture di stabilimenti, ma nel futuro sicuramente ce ne saranno altre.
Quanto producete in Canada e quanto altrove?
La maggior parte della produzione avviene in Canada, e in particolare quella riguardante tutti i nostri prodotti core. Per gli altri prodotti, invece, abbiamo scelto i Paesi migliori in cui potessero essere realizzati, quindi Italia, Romania e Portogallo. Non andiamo alla ricerca dei produttori che ci costano meno, ma dei best in class che possano creare un prodotto di qualità.
Quanto vale il marchio ‘Canada’ oggi?
Penso che il brand Canada abbia un grandissimo valore. Ho viaggiato molto per il mondo e ogni volta che parlavo con le persone del Canada ho avuto degli ottimi feedback, in quanto il Paese gode di una buona reputazione, e questo rappresenta un vanto per noi. Inoltre, fare capi outerwear in Canada è un po’ come fare gli orologi in Svizzera, una garanzia. Penso che le persone, soprattutto in Europa e in Asia, lo apprezzino molto.
E quanto vale il nome “goose”, in un periodo di grande attenzione alla sostenibilità?
Il nostro brand si incentra tutto sull’autenticità, e la sostenibilità è una materia importante per il business. Le piume, di per sé, sono una commodity sostenibile e noi ci impegnano a utilizzare quelle la cui provenienza e reperimento rispettino standard di trasparenza ed etici. Siamo infatti molto attenti al benessere degli animali e ci assicuriamo che non vengano maltrattati. Sul nostro sito, non a caso, abbiamo anche un’intera sezione dedicata a questa tematica.
Avete altri progetti legati a questi ambiti?
Sempre in termini di sostenibilità siamo impegnati attraverso diversi progetti direttamente in Canada. Abbiamo infatti il Canada Goose Resource Centre program attraverso il quale mandiamo gratuitamente i tessuti che non utilizziamo alle remote comunità del nord, così da supportarle nelle loro tradizionali attività di cucito, fornendo loro materiali tecnici moderni a cui altrimenti non avrebbero mai accesso. In questo modo, oltrettutto, riduciamo gli sprechi.
Come vedete, in generale, il settore dell’outerwear?
Penso che la categoria sia molto cresciuta nel corso del tempo. Vent’anni fa, infatti, non aveva la stessa importanza mentre oggi le ‘giacche’ sono capi imprescindibili, entrati appieno nel guardaroba delle persone.