Confermare la crescita del giro d’affari e della redditività, ma soprattutto confermarsi al vertice dello sportswear mondiale. Per Nike e Adidas, rispettivamente numero uno e numero due del settore, la partita non si gioca solo sulle performance di oggi, ma anche sulle scelte 4.0 che guardano al mercato dell’abbigliamento di domani. Mentre il competitor tedesco guadagna quote di mercato, il gigante di Beaverton prova ad allungare il passo in termini di innovazione, di organizzazione aziendale e di immagine, confermando strategie da first mover che accendono le attese di Wall Street. A fine giugno, per la prima volta in sette anni, Nike ha deluso le stime degli analisti. Nell’ultimo quarter dell’esercizio fiscale (chiuso il 31 maggio scorso), il gruppo ha registrato ricavi per 10,2 miliardi di dollari (circa 9 miliardi di euro), in crescita del 4 per cento. Nei tre mesi, l’utile è sceso da 1,1 miliardi di dollari a 989 milioni. L’utile per azione si è attestato a 62 centesimi, sotto i 66 centesimi previsti dal consensus Refinitiv. In controtrotendenza rispetto a quanto accaduto negli ultimi due anni, il dato di gestione delle rimanenze di magazzino: se il full year 2016 aveva visto le giacenze aumentare del 12%, l’esercizio fiscale 2017 è poi sceso a un +4 per cento. Quest’ultimo trend (+4%) è stato confermato anche nel 2018, mentre i 12 mesi al 31 maggio scorso hanno evidenziato un lieve peggioramento, con livelli di inventario cresciuti del 7% a 5,6 miliardi. La gestione degli inventories è stato uno dei temi esplosi nel 2018 per l’intero settore della moda, in modo particolare per sportswear e low cost, ambiti a maggior circolo di volumi. Un incubo non solo in termini di valore immobilizzato, ma anche, e sempre più, in termini di costi di riciclo e di immagine.
ANNUNCI DA NUMERI UNO A dispetto dei dati trimestrali e della complessa gestione delle giacenze, dall’inizio del 2019 le azioni di Nike hanno guadagnato quasi il 19%, sostenute da annunci di progetti pronti a lasciare un solco nel settore. Del resto, anche nel 2018, anno in cui lo scandalo legato a episodi di molestie interni all’azienda (che ha portato al licenziamento di numerosi executives e alle scuse pubbliche del CEO Mark Parker) e la scelta ‘rischiosa’ di Colin Kaepernick come testimonial dello slogan ‘Just do it’ avrebbero potuto gelare il titolo del gruppo, la società è stata protagonista della migliore performance di Borsa sul Dow Jones. Dalla sua, Nike ha un’identità di brand riconoscibile in tutto il mondo, affiancata dalla capacità di convincere i mercati con le sue scelte strategiche e capacità di innovazione. Su questi fronti, la grande sfida di Nike si chiama criptovaluta. Secondo quanto riferito dalla stampa specializzata, infatti, l’azienda ha registrato allo US Patent and Trademark Office la parola ‘criptokicks’, dando il via a speculazioni sulla possibile creazione di una nuova piattaforma e-commerce basata sulle monete virtuali. Questa mossa segnerebbe il culmine della nuova strategia commerciale direct-to-consumer di Nike, il cui obiettivo è mantenere il primato mondiale, soprattutto nel segmento delle sneakers. La scelta di Nike di utilizzare la tecnologia blockchain potrebbe garantire un vantaggio significativo rispetto alla concorrenza, poiché favorisce anche una maggiore conoscenza dei clienti (tramite la raccolta dei dati) e un maggior livello di personalizzazione dell’offerta, anche su scala globale. L’innovazione, tuttavia, non è solo tecnologica. Già firmataria del Fashion Industry Charter for Climate Action delle Nazini Unite, Nike ha infatti ‘detto la propria’ sulla sostenibilità lanciando, al sito nikecirculardesign.com, la sua piattaforma per la diffusione di un “linguaggio comune per l’economia circolare” nell’apparel. La guida approfondisce 10 temi, affidandosi a case history di successo che riguardano Nike e altri marchi.
ADIDAS ACCELERA I PROCESSI A Nike e Adidas fanno capo, rispettivamente, il 15% e l’11% circa del mercato mondiale dello sportswear. Dimensioni che, nel caso del player tedesco, si traducono (oggi) anche in un limite.Nel 2019, infatti, la stessa Adidas ha comunicato difficoltà nel soddisfare immediatamente la domanda a causa di alcune carenze nella catena di approvvigionamento. Carenze di ‘capacità’ di offerta, che hanno limitato i conti nella prima metà dell’anno. La cautela legata ai limiti della supply chain non ha tuttavia impedito agli analisti di alzare il target price di del gruppo di Herzogenaurach (Citigroup lo ha fissato a 325 euro, contro i precedenti 230 euro). E, dall’inizio del 2019, il titolo di Adidas ha guadagnato il 60 per cento. Merito di passi avanti annunciati nel controllo dei processi aziendali. Il gruppo punta a ridurre la durata del processo di sviluppo, produzione e personalizzazione delle sue linee di scarpe. La società guidata da Kasper Rorsted sostiene che occorrano ben 15 mesi per introdurre sul mercato un nuovo modello di calzature. Grazie all’accelerazione dei processi, il brand potrebbe arrivare a impiegarne sei o anche meno. Entro il 2020 il 50% del fatturato di Adidas sarà generato dai prodotti realizzati secondo la nuova tempistica. Bloomberg riporta che saranno soprattutto le cosiddette ‘Speedfactories’ di Atlanta e Ansbach ad essere artefici della produzione turbo. Qui tecnologie intelligenti, come la robotica, consentono ad Adidas di dare impulso alla produzione e progettare e realizzare componenti per calzature su misura.