Per i brand childrenswear di fascia media l’ex Celeste Impero è visto ancora come un mercato aspirazionale per le vendite, ma consolidato dal lato della produzione
Dal 2012, anno del Grande Sorpasso in cui la Cina scavalcò il Giappone diventando il più grande mercato mondiale per l’industria del lusso, la cavalcata non si è più fermata. Nonostante un rallentamento nel 2016-17, nel 2018 i cinesi sono tornati a comprare e lo fanno sopratutto a casa loro. Lo shopping pare riguardare anche l’abbigliamento bambino tanto che dal Centro Studi Confindustria Moda per SMI segnalano appunto che, nel 2018, l’export italiano in Cina di abbigliamento “0-3 anni” è stato pari a 1,5 milioni di euro, in forte aumento grazie all’ingresso di griffe in questo segmento. L’export verso Hong Kong è stato pari a 2,3 milioni di euro. L’import dalla Cina in Italia, invece, ha raggiunto gli 82,9 milioni di euro, coprendo il 24,7% del totale, pertanto la Cina risulta il primo mercato di approvvigionamento per questo comparto anche se in calo del 10,7% nel 2018. Della crescente importanza del mercato cinese se ne accorto anche Pitti Immagine che, durante l’ultima edizione di Pitti Uomo, ha ospitato come guest nation proprio la Cina. “Seppure la donna e l’uomo siano più avanti in questo Paese, anche il bambino sta facendo passi da gigante, per quanto non ancora con quote significative”, ha dichiarato Raffaello Napoleone, AD di Pitti Immagine. “Si tratta di un mercato che deve essere necessariamente presidiato, ma con diverse strategie di penetrazione”.
UN MERCATO “ASPIRAZIONALE”
Mentre il childrenswear di alta gamma è ormai abituato ad esportare sul mercato cinese con ottimi risultati, proprio perché le mamme orientali (e ormai sempre di più direttamente anche gli stessi piccoli acquirenti) sono molto sensibili agli acquisti di lusso, non si può dire lo stesso per la fascia media del settore. Questa vede l’ex Celeste Impero ancora come un mercato aspirazionale per le vendite, ma consolidato dal lato della produzione. La Cina offre sicuramente delle opportunità interessanti dal punto di vista delle potenzialità e dei volumi, ma per la sua complessità necessita, in molti casi, di una penetrazione attraverso strutture locali. “La Cina rappresenta un’opportunità che però deve essere interpretata correttamente”, ha spiegato Antonio Di Vincenzo, presidente Imap Export Spa, la società che detiene il marchio Original Marines. Il brand ha un ufficio a Hong Kong che controlla tutto il Fair East (e quindi anche la Cina dove possiede delle produzioni dedicate). “Per entrare in un mercato complesso e completamente diverso da quello europeo o americano, dove, tra l’altro, il brand non è conosciuto, è necessario essere coadiuvati da un partner locale in grado di interpretare i nostri valori e di adattarli a un contesto differente. Per il nostro brand non è al momento prioritario perché il nostro piano strategico prevede attualmente il consolidamento nei mercati in cui siamo già presenti. In futuro potremo decidere di commercializzare i nostri capi anche in Cina, ma appunto sicuramente con il supporto di un partner locale”. Dell’importanza di strutture locali è convinto anche Falc, il gruppo marchigiano di calzature cui fa capo il brand Naturino. “La nostra quota di export in Cina è ancora piccola – hanno fatto sapere dall’azienda – sicuramente questo è un mercato cui prestiamo molta attenzione, tenendo conto del fatto che per operarci è indispensabile dialogare con il consumatore attraverso piattaforme social locali”. Anche l’azienda aretina di childrenswear Miniconf ha una quota export trascurabile in Cina, ma possiede una parte della produzione in questo Paese, soprattutto per la parte di collezione più commerciale. “Negli ultimi 2-3 anni, però, la quota di produzione nell’ex Celeste Impero è stata ridotta molto spostandosi in altri Paesi come Pakistan, Bangladesh, India e Turchia”, hanno fatto sapere dall’azienda. Anche la Falc, soprattutto per la parte atletica delle collezioni di alcuni suoi brand, collabora da anni anche con aziende cinesi.
MANI CINESI “PIGLIATUTTO”
Il childrenswear italiano da qualche tempo è alle prese con un riassetto profondo. Un riposizionamento che per alcuni big del settore è passato attraverso mani cinesi che si sono insinuate nelle strutture finanziarie del bimbo di casa nostra ridando linfa vitale. Già qualche anno fa, l’armadio cinese si è riempito di brand di taglie mini con le importanti operazioni che hanno riguardato I Pinco Pallino e Gusella. La storica azienda bergamasca di alta moda per bambini fondata negli anni 80, dopo un periodo turbolento è passata al fondo asiatico Lunar Capital nel 2014 col quale un anno prima aveva già stretto una joint venture per lo sviluppo sul mercato cinese. E oggi parla mandarino anche Gusella. Il marchio di scarpine, dopo il fallimento datato 2011 e la chiusura repentina di tutti i suoi negozi, è tornato a nuova vita grazie alla spinta di Dragon Crowd Enterprise, inaugurando un nuovo capitolo della sua storia. Ma la lista dello shopping cinese non ha risparmiato il fiorente childrenswear d’Oltralpe. A subire l’assalto asiatico è stato recentemente anche il gigante francese del kidswear Kidiliz (ex gruppo Zannier) passato totalmente sotto la proprietà del gruppo di Hong Kong Semir. Un cambio di casacca che potrebbe portare, per ragioni dimensionali, a nuovi equilibri sullo scacchiere internazionale del bimbo. Zheijiang Semir Garment, quotata alla Borsa di Shenzhen, è infatti leader della moda bimbo in Cina, con un network di circa 8mila store monomarca e un giro d’affari di 1,6 miliardi di euro.