Nella moda a stelle e strisce è febbre da denim. In un panorama che fa i conti con ‘le ambizioni di lusso’ di gruppi come Capri Holdings e Tapestry, c’è infatti anche chi riscopre nella tela di Genova la carta vincente per resistere ai cambiamenti del mercato. Il denim torna così al centro delle strategie dei brand: da chi fa jeans da sempre, come Levi’s, a chi, come Calvin Klein, Vf Corporation o J. Crew, ha deciso di spingere su questo segmento dell’offerta nel pieno di un generale riposizionamento del fashion americano. Nel 2018, riferisce Bloomberg, l’industria Usa del jeans è tornata alla crescita (+2,2%) dopo “quattro anni consecutivi di declino”. Secondo l’analisi di Euromonitor, inoltre, il mercato del jeans raggiungerà quota 59 miliardi di dollari (circa 53 miliardi di euro) nel 2020, confermando la doppia identintà di tessuto pensato per il lavoro, e di territorio di sperimentazione stilistica.
JEANS DA SPIN-OFF
Ultimo in ordine di tempo a cavalcare l’onda favorevole del mercato del jeans è il gruppo J. Crew, che potrebbe scorporare, e successivamente quotare, la controllata Madewell. Quest’ultima deve il suo successo soprattutto all’offerta denim e, a differenza della capogruppo, ha registrato performance di vendita positive. Nell’ultimo trimestre del 2018, infatti, i ricavi di Madewell hanno segnato un +26%, contro il -4% del brand J. Crew. A spingere il conti del retailer, che dall’inizio del 2019 ha già aperto 4 nuovi punti vendita contro i 12 chiusi da J. Crew, è la sua popolarità tra i Millennials. L’Ipo del marchio, nato nel 2006, potrebbe concretizzarsi già nella seconda parte del 2019, ha spiegato la stessa azienda alla stampa americana, a margine dell’ufficializzazione della nomina di Michael Nicholson come interim chief executive officer di J. Crew. Lo spin-off, ha commentato Neil Saunders, analista di GlobalData Retail, “ha molto senso a livello strategico”, perché consentirebbe al gruppo di riscattarsi valorizzando le attività che oggi performano meglio. L’operazione segue la scia di quanto già operato da gruppi come Vf Corporation, che la scorsa estate ha scorporato i brand del jeans (Wrangler e Lee) in una newco, o le strategie di ripartenza di Calvin Klein. Reduce dall’uscita di Raf Simons, a soli due anni dalla nomina come direttore creativo del marchio, la parent company Pvh ha annunciato la chiusura della linea prêt-à-porter della griffe, rinominata 205W39NYC dal designer belga e nota in precedenza come Calvin Klein Collection. La holding ha tracciato un futuro fatto di underwear, beauty e, soprattutto, denim.
LEVI’S DOCET
A far ben sperare è inoltre il successo del ritorno sui listini di Levi’s, la cui valorizzazione complessiva ha superato le aspettative, portandosi a quota 6,6 miliardi di dollari. Con l’Ipo del 21 marzo scorso, la società ha raccolto 623 milioni di dollari. Nelle carte presentate da Levi’s alla Sec si cita l’opportunità di ampliare la presenza dell’azienda in mercati emergenti come India, Brasile e Cina. Fondata nel 1853 a San Francisco, Levi’s aveva debuttato in Borsa nel 1971, raccogliendo 50 milioni di dollari (all’epoca si trattò della più grande quotazione americana di sempre), per poi tornare privata, con un leverage buyout da parte dei discendenti del fondatore, nel 1984. Nel 1996, la famiglia ha rilevato le ultime azioni da dipendenti e investitori esterni. Il ritorno a Wall Street corona un periodo molto positivo in termini di vendite: nei soli tre mesi al 24 febbraio 2019 il gruppo ha registrato ricavi in crescita del 7% per 1,43 miliardi di dollari e profitti per 147 milioni, che si confrontano con la perdita di 19 milioni di dollari del corrispondente periodo del 2018. L’utile netto rettificato è infine balzato dell’81% a 151 milioni. La stampa Usa attribuisce il successo del nuovo posizionamento di Levi’s alle strategie del CEO Chip Berg, arrivato nel 2011, quando il brand aveva perso il ruolo di riferimento giovanile, acquisito negli anni Novanta. L’azienda deve la sua rinascita al lancio di jeans dalla vestibilità più varia e alle maggiori possibilità di personalizzazione. A livello distributivo, Levi’s ha rivisto (con successo) la selezione di rivenditori autorizzati e non ha perso tempo nello sviluppo e-commerce. L’azienda si è inoltre avvicinata ai Millennials a colpi di collaborazioni, tra cui quelle con i ‘fenomeni’ Supreme e Off-White. A sostenere la crescita di Levi’s è stato, infine, il buon rapporto qualità-prezzo. Quest’ultimo oscilla infatti tra i 90 e i 140 euro circa, a metà strada tra le proposte denim del fast fashion e quelle dell’alto di gamma.
ORA TOCCA A DIESEL
Un grande dinamismo che non consente passi falsi. Significativo il caso di Diesel Usa. Lo scorso marzo (vedi articolo nelle pagine seguenti), la divisione americana di Diesel Spa ha fatto richiesta di protezione dai creditori con il Chapter 11 della legge fallimentare americana. La società ha ammesso problemi legati al rapido cambiamento della domanda, ma si è impegnata a un rapido rilancio (con totale risarcimento dei creditori). La corte del Delaware ha già approvato il piano di riorganizzazione.