Le correnti forza sette del jeans americano mandano Diesel Usa sott’acqua. Il rapido cambiamento di scenari che caratterizza gli States, se da un lato apre nuove prospettive al mercato casual, dall’altro ha costretto il brand di Renzo Rosso alla richiesta di Chapter 11. Ma sembra essersi trattato di un rapido ritorno ai box.
Nel giro di poche settimane, a metà aprile, la corte del Delaware ha approvato la procedura concorsuale di protezione dai creditori di Diesel Usa, grazie a un piano di riorganizzazione che prevede la copertura totale dei debiti. Cinque store in perdita verranno con ogni probabilità trasferiti in location meno costose. I rappresentati di Diesel Usa hanno spiegato che la riorganizzazione è stata in parte motivata “dagli stessi movimenti globali dell’economia che hanno drasticamente ampliato il commercio online e costretto i dettaglianti tradizionali a cambiare, spazzando via o riducendo quelli che non si sono adattati”. A Diesel Usa fa capo la distribuzione dei prodotti Diesel negli Stati Uniti dal 1995. Al momento della richiesta di Chapter 11, Diesel Usa operava in 28 negozi in 11 Stati, cui si affiancano l’e-shop e la partnership con circa 200 retailer specializzati. Secondo il progetto di ristrutturazione, la parent company “permetterà alla divisione americana di mantenere e rinnovare il suo accordo di licenza”. Per la ripartenza di Diesel Usa, la controllante italiana investirà circa 32 milioni di euro, in cambio di una liberatoria da ogni possibile reclamo (“release of claims”). Il fallimento Usa è solo l’ultimo step di una fase delicata che sta attraversando il brand. Negli ultimi quattro anni il marchio ha smesso di crescere ed è alla ricerca della chiave giusta per ingranare una nuova marcia. La fase complessa di Diesel Spa è scritta nei numeri: i ricavi sono scesi dai 419 milioni del 2014 ai 382 milioni nel 2017. E anche nel 2018, la capogruppo Otb (acronimo di ‘Only the brave’) ha comunicato una flessione “principalmente dovuta alla performance del marchio Diesel”. In termini di redditività, l’ebitda è passato dai 55,6 milioni del 2014 ai –29,7 milioni del 2017. E, per la prima volta, dopo 10 anni di utile, Diesel nel 2016 ha messo a segno una perdita pari a 8,4 milioni che si è ampliata a 14,6 milioni nel 2017. Un paio di anni fa, Diesel è stata costretta ai primi licenziamenti della sua storia nel quartier generale di Breganze (Vicenza). Il momento di riflessione si è tradotto in molteplici cambi ai vertici aziendali. A fine 2017, nel ruolo di amministratore delegato di Diesel è arrivato Marco Agnolin al posto di Alessandro Bogliolo. Anche Agnolin, dopo soltanto un anno di mandato, ha lasciato l’azienda lo scorso marzo. Sul fronte stilistico, invece, il direttore creativo di Diesel Nicola Formichetti, dopo quattro anni, ha lasciato le redini del brand, oggi tornate nelle mani di Rosso. Il ritorno in campo del fondatore, che negli ultimi tempi si era un po’ allontanato dalla sua prima creatura, è il migiore auspicio. Lo stesso Rosso è consapevole: “Credo che questo tipo di compagnia possa lavorare diversamente, e non nella stessa direzione”, ha detto più volte. Anche perché “il mercato è molto diverso ora” e molto più competitivo (emblematico è appunto il caso Usa). L’imprenditore veneto, che da sempre ha fatto della capacità di ‘anticipare’ il fattore del successo, nell’attuale scenario di cambiamento ininterrotto, dovrà inventarsi un nuovo modo di riavviare il motore. Un reboot in cerca di un rilancio e di un nuovo posizionamento.