Quando si atterra per la prima volta a Shanghai, megalopoli da 26 milioni di abitanti e ormai riconosciuta come capitale della moda cinese, le contraddizioni e le difficoltà appaiono subito evidenti.
Anche solo per un turista: distanze immense, traffico congestionato, barriere linguistiche quasi invalicabili, culture spesso agli antipodi, scritte incomprensibili. Arrivare a Shanghai per fare business è ancora più complesso: se l’ex Celeste Impero rappresenta una sfida per i grandi gruppi strutturati a livello mondiale, alle piccole-medio imprese italiane della moda potrebbe sembrare inarrivabile. Per riuscire ad aprirsi una strada qui servono background solido, profonda conoscenza del luogo e, soprattutto, contatti diretti con partner e distributori locali. In questo senso, le fiere b2b organizzate nel Paese possono essere d’aiuto: è il caso di Chic (acronimo di China International Clothing & Accessories Fair), il più importante salone asiatico di abbigliamento e accessori, promosso dalle associazioni di settore China National Garment Association e Sub-Council of Textile Industry e svoltosi a Shanghai a metá marzo nella mastodontica sede del National Exhibition and Convention Center. Passeggiando tra gli stand delle aziende italiane espositrici (24 in tutto, all’interno di un padiglione dedicato, e a rappresentare la delegazione più consistente in arrivo dall’Europa), l’impressione è che gli imprenditori siano arrivati fino a qui con uno scopo preciso: incontrare potenziali soci, stringere legami con futuri distributori, fare rete con aziende locali. Più che la volontà di scrivere ordini con i buyer cinesi, dalle parole degli imprenditori trapela il desiderio di conoscere il mercato e fare network. L’identikit dell’espositore italiano a Chic è quello di una Pmi con qualche milione di fatturato, una grande vocazione per l’export (soprattutto Russia ed Emirati Arabi) e la volontà di esplorare il mercato cinese.
L’investimento da mettere in conto per esporre nei suoi padiglioni non è dei più irrisori, specie per una piccola realtà: per l’affitto di un piccolo stand per i tre giorni di fiera si parla di circa 5mila euro, cui si aggiungono le spese di viaggio e di permanenza. “È il sesto anno che siamo qui, siamo sempre tornati soddisfatti”, racconta il titolare di un calzaturificio padovano. “È la nostra prima volta, siamo speranzosi possa essere di buon auspicio per lanciare i nostri prodotti nel Paese”, commenta il fondatore di un’azienda di moda toscana. Se c’è chi crede ne valga la pena, però, nel tempo tante aziende italiane hanno invece mollato il colpo: negli ultimi anni, infatti, la presenza degli espositori italiani si è di molto assottigliata, anche complice la cancellazione di Micam Shanghai, la collettiva dei calzaturieri che fino a qualche anno volava all’interno di Chic. Dati alla mano, se fino a qualche anno fa si contavano un centinaio di espositori tra aziende di moda e accessori, oggi la cifra è scesa, appunto, a 24. A non essere stato costante nel tempo e a condurre a questo risultato è stato soprattutto il mancato supporto da parte delle istituzioni e delle organizzazioni italiane, che non hanno evidentemente saputo affiancare le aziende non solo nel momento fieristico ma, soprattutto, nell’approccio al mercato, nella promozione diffusa e costante del made in Italy e delle sue specificità produttive e qualitative, in maniera da creare quel sostegno indispensabile per favorire le azioni commerciali delle singole aziende. Per il mercato cinese dell’abbigliamento, il supporto è ancora più essenziale rispetto ad altri Paesi, considerando che in Cina i “nuovi ricchi” ben conoscono e acquistano – come status symbol – le griffe italiane, ma non sanno apprezzare pienamente la produzione di qualità e lo stile che propongono le nostre medio imprese. Questa edizione di Chic, peró, potrebbe rappresentare un punto di svolta: Agenzia Ice ha preso il timone delle operazioni, garantendo un supporto logistico in diversi ambiti. “I servizi che offriamo alle aziende che decidono di esporre qui sono molteplici e riguardano l’organizzazione di eventi e sfilate, la collocazione degli stand e della hall, e soprattutto l’incontro con retailer ed e-tailer”, spiega a Pambianco Magazine Valentina Petroli, deputy trade commissioner dell’ufficio di Ice a Shanghai. “E anche l’impegno in termini di sponsorizzazioni e rilevanza mediatica è consistente: chiamiamo a raccolta una selezione di giornalisti, kol (key opinion leader, ndr) e influencer cinesi per dare la giusta rilevanza ai brand”.
L’impegno dell’agenzia è duplice e riguarda sia Chic che Intertextile, l’altra manifestazione dedicata ai tessuti al cui interno trova spazio anche Milano Unica Shanghai. “Il concept che abbiamo proposto quest’anno – conclude Petroli – sembrerebbe essere stato apprezzato dalle aziende; tuttavia, valuteremo i feedback degli espositori al termine di questa esperienza assieme ai nostri partner e valuteremo il da farsi in vista delle prossime edizioni”. Da parte loro, gli organizzatori della kermesse non sembrano troppo preoccupati di perdere espositori internazionali, che in 20 anni di manifestazione si sono mantenuti stabili nell’ordine del centinaio, contro gli espositori cinesi, che sono passati dai 200 del 1993 (quando la manifestazione era ancora basata a Pechino, dove è rimasta fino al 2014) agli oltre 1.000 di quest’anno. La connotazione di ‘fiera dei cinesi per i cinesi’ non pare essere un problema per Chen Dapeng, presidente di Chic Shanghai e della China National Garment Association, una delle personalità di spicco della moda cinese. Durante la conferenza con i giornalisti, il manager fa intendere che a fronte dei dati positivi del Salone (l’edizione di marzo si è chiusa con visitatori stabili rispetto a marzo 2018, a quota 103.722), un’eventuale emorragia di espositori internazionali non rappresenta un cruccio. “Ci aspettiamo che le aziende internazionali riconoscano l’importanza del mercato cinese e di conseguenza anche l’utilità di Chic come piattaforma per fare business. Noi faremo sempre del nostro meglio per accoglierli, ma la richiesta e la consapevolezza devono partire da loro”, spiega Dapeng. L’incontro con la stampa è anche l’occasione per fare il punto sull’economia cinese e sulle sue priorità. La Cina, nonostante rimanga il più grande mercato retail nel 2019 (con una previsione di vendite a 5.600 miliardi) ed è stimato subentri agli Stati Uniti, per la prima volta quest’anno, come maggiore mercato di produzione per l’abbigliamento, è in un momento di rallentamento e quest’anno potrebbe crescere meno del previsto. “La trasformazione non è iniziata quest’anno, ma ben prima. Cresciamo meno, ma cerchiamo di farlo in maniera più sostenibile, sia a livello umano che ambientale”, sottolinea Dapeng, il cui richiamo va ai temi del green, della responsabilitá sociale e della tecnologia come fonte di grande aiuto. “L’industria della moda sta abbracciando sempre più i concetti di automazione, digitalizzazione e intelligent manufacturing sia per assicurare una qualitá più alta, sia per ridurre gli sprechi e rispettare gli standard internazionali”, conclude Dapeng.