Quando, a fine anno, si è diffusa la notizia dell’imminente chiusura di Lord & Taylor sulla Fifth Avenue, lo storico indirizzo nel cuore di Manhattan, aperto più di cent’anni fa, la stampa americana ha parlato della fine di un’epoca. E l’annuncio dell’analoga sorte dell’emporio di lusso newyorkese Henri Bendel, sempre nel cuore di New York, cui si è aggiunta quella del fallimento di Gump’s, insegna che ha venduto beni di lusso per generazioni a San Francisco, non ha fatto che confermare questa sensazione. Dopo aver razionalizzato i punti vendita nelle piccole o medie città degli Stati Uniti, ora le grandi catene hanno iniziato ad abbassare le serrande anche nelle vie per eccellenza dello shopping americano. E non sono le uniche, perché sempre nell’Upper East Side, anche Ralph Lauren ha lasciato lo storico punto vendita su tre livelli nel 2017, Calvin Klein dovrebbe lasciare l’immobile in Madison Avenue e, rumors di stampa newyorkesi, danno anche Versace pronto ad abbandonare il suo store nella Fitfh Avenue. Insomma, nel retail americano c’è ancora grande fermento, e l’e-commerce, con la sua rivoluzione nelle abitudini di acquisto degli statunitensi, ne è la principale chiave di lettura. C’è da stare allerta, visto che il mercato americano è il terzo di sbocco per il made in Italy con una quota pari all’8,6% (per intenderci, la Cina vale il 3,9%), e diventa il primo se si escludono le re-importazioni dai due bacini di Francia e Svizzera. O, quanto meno, c’è da chiedersi quali saranno le prospettive del lusso nel mercato nordamericano, dato che proprio i department store sono stati da sempre il veicolo per eccellenza della distribuzione nel Paese. Senza contare i timori generati dalle manovre protezionistiche annunciate da Donald Trump. Secondo Claudio Marenzi, non è corretto parlare di una incognita Usa per il lusso europeo e, ancora di più, italiano. “Partendo dai dazi, questi erano già molto alti con l’amministrazione Obama e sostanzialmente non sono stati toccati”, spiega il presidente di Confindustria Moda. In base ai dati di Ice New York, il sistema dei dazi sui prodotti nell’ambito moda in senso allargato è molto variegato (si considera il prodotto, il materiale, la destinazione d’uso), ma in genere si va dal 2,4% fino al 37,5% nel caso delle sneakers. Sul fronte distributivo, poi, “che ci sia stata negli ultimi anni una difficoltà, anzi, una crisi dei department store è un dato certo. Come anche la contrazione delle loro vendite. Però nelle ultime due stagioni si è vista una generale controtendenza. I department store hanno trovato una loro quadra. Lo definirei un aggiustamento di sistema: i grandi gruppi della distribuzione si sono resi conto di poter essere considerati una piattaforma di distribuzione sul web, oltre che spazi fisici di vendita”. In occasione della chiusura del suo store newyorkese, Lord & Taylor ha dichiarato di spostare la propria attenzione verso le vendite online. “I department store americani hanno dedicato molte risorse sull’implementazione della parte online, così come hanno fatto i negozi degli indipendenti: si sta andando verso il concetto di omnichannel. Una strategia che, come accade globalmente, porta alla riduzione del numero di location per privilegiare le principali sul fronte dei risultati”. Un esempio su tutti è il caso di Nordstrom che sta proseguendo nella politica di chiusure dei negozi meno strategici, ma, dall’altra parte, ha appena aperto un mega negozio uomo a New York (e dovrebbe inaugurarne uno femminile ancora più grande in autunno) che unisce tecnologia d’avanguardia e servizio in store. Dati alla mano, le digital sales di Nordstrom hanno raggiunto il 34% del fatturato totale nel secondo trimestre del 2018 rispetto al 29% dell’analogo periodo del 2017. “Non credo ci siano all’orizzonte strategie differenti sul fronte della distribuzione da parte del lusso”, continua Marenzi. “La principale conseguenza, piuttosto, potrebbe essere il calo delle quotazioni immobiliari. Queste manovre le leggo piuttosto come situazioni che stanno ridisegnando la città”. La conferma è arrivata da un recente articolo del Financial Times che cita una analisi di Reis, società specializzata nella raccolta dati in ambito real estate, secondo cui le tariffe di locazione sono in stallo, indice della ridefinizione della strategia dei department store. Negli ultimi tre mesi del 2018 gli affitti sarebbero aumentati dello 0,8%, registrando così l’aumento più lento dal 2012. “Non solo i department store, ma anche i brand del lusso stanno diversificando la loro proposta in termini di negozi con maxi store che occupano interi palazzi, più che una serie di negozi più piccoli, anche se in zone chiave della città”, conferma Marenzi. “Ormai l’importante è esibire la potenza del brand più che la distribuzione capillare”. Quello che sta cambiando, invece, sono i parametri per entrare nei deparment store e nel mercato nordamericano in generale. “L’importante non è fare solo un bel prodotto. È saperlo vendere. E qui è fondamentale tutta la parte legata alle spedizioni, ai servizi, ai tempi. Per esempio, i department store impiegano in genere dalle 4 alle 6 settimane per inserire le nuove collezioni all’interno dei punti vendita”. Insomma, la sfida del lusso made in Italy si gioca nelle dinamiche di logistica e servizio al cliente, che da sempre rischiano di rappresentare il tallone d’Achille per chi non è ben strutturato.