Au revoir. Lo scorso ottobre è stata ufficializzata la vendita del gigante francese del segmento childrenwear Kidiliz al gruppo orientale Semir. Il passaggio di proprietà delinea un cambiamento nel panorama del kidswear d’Oltralpe, che potrebbe portare a nuovi equilibri sullo scacchiere internazionale del bimbo. L’operazione, intanto, ha portato alla fine dello storico duopolio francese, secondo solo a quello del lusso da ‘grandi’ tra Kering e Lvmh, costituito dal colosso Cwf Children Worldwide Fashion e, appunto, Kidiliz (ex gruppo Zannier). Entrambi i colossi vantano alcuni marchi di proprietà e, soprattutto, un ricco portfolio di licenze. Il primo è licenziatario di griffe quali Little Marc Jacobs, Chloé, Givenchy, Karl Lagerfeld Kids. Fondato nel 1962, il gruppo Zannier ha in portafoglio 15 marchi e opera nella fascia premium per bambini attraverso più di 11mila punti vendita nel mondo. L’azienda annovera partnership siglate con Paul Smith, Kenzo, Esprit oltre a una miriade di marchi francesi e il brand low cost Z, presente in maniera capillare anche in Italia. Il fatturato 2017 è stato di 427 milioni di euro, in arrivo per oltre la metà dall’estero. Il giro d’affari nei prossimi mesi potrebbe subire qualche flessione dato che, da luglio 2018, Kidiliz ha visto sfumare la storica licenza per Levis’ Kids, ora affidata a Haddad Brands. L’acquisizione da parte di Semir punta non semplicemente alle dimensioni di Kidiliz, ma anche alla sua apertura internazionale. Infatti, nonostante la Francia, insieme a Italia e Spagna, sia tra i Paesi in cui il settore di abbigliamento per bambini mantiene un numero importante di brand, conta su fiere di standing internazionale e su un’indubbia heritage stilistica, non si può dire che l’industria transalpina sia efficacemente valorizzata oltre confine. Al contrario, oltre ai due colossi sopra citati (e alla griffe Bonpoint e al marchio premium Petit Bateau), il mercato del bimbo si basa molto su realtà ben consolidate in patria. Per le quali, dunque, si prospettano notevoli potenzialità nel caso parta una trasformazione internazionale. Che potrebbe coinvolgere, per esempio, anche il brand fast fashion Dpam Du pareil au même, attualmente marginale, all’estero, rispetto a Zara Kids, H&M e all’italiano Ovs.
OLTRE LA FRANCIA
Restando in Europa, la Spagna vive una situazione speculare ai francesi. Una miriade di brand nazionali che però non godono di ampio risalto internazionale. Assente nel segmento lusso, la Spagna esporta principalmente realtà di fascia medio-bassa, prodotti caratterizzati dalle stampe multicolor come gli abiti di Tuc Tuc o l’abbigliamento quotidiano di Mayoral, entrambi presenti anche tra gli espositori di Pitti Bimbo. Sempre nella Penisola Iberica, dalla prossima edizione la Portugal fashion week aggiungerà per la prima volta un segmento dedicato ai marchi kidswear, ma, ancora una volta, si tratterà prevalentemente di realtà conosciute in Portogallo e con poche possibilità di approcciare buyer internazionali. I Paesi del nord Europa pur vantando un diffuso potere d’acquisto non sembrano affatto interessati al childrenswear di altagamma, poiché prediligono indumenti pratici, talvolta tecnici e vicini al mondo green. Fuori dal vecchio continente, il kidswear, come l’abbigliamento adulto d’altronde, sembra sempre più polarizzato tra low cost e lusso. Ogni Paese sembra legato alle proprie abitudini consolidate negli anni. Negli Stati Uniti, prevalgono le grandi catene presenti nei numerosi centri commerciali, e un consumo dell’abbigliamento bambino maggiormente legato a marchi casual e sportivi. Il settore cerimonia-formale rappresenta una nicchia poco influente al di fuori dal territorio europeo, Russia e Medio Oriente.
GLOBALIZZAZIONE CERCASI
Ciò che caratterizza il kidswear a livello internazionale, quindi, è il persistere di forti realtà locali, su cui aumenta la pressione dei colossi low cost a discapito dei marchi di fascia media e, laddove persiste una tradizione radicata, la presenza dei luxury brand specializzati in cerimonia, spesso made in Italy. In prospettiva, questo scenario a ‘globalizzazione ridotta’ potrebbe però essere scosso da nuove combinazioni di business, ovvero dall’innesto in brand qualificati a livello nazionale, di strutture distributive e commerciali capaci di moltiplicarne il valore sui molti mercati ancora da conquistare. L’operazione Kidiliz, insomma, ha le potenzialità per portare la propria onda d’urto ben oltre i confini francesi.