La cessione di Versace ha riacceso il dibattito sulla conquista estera dei gioielli italiani del lusso. Certo, negli ultimi anni ne sono stati ceduti diversi, ma si è poi visto che il compratore li ha sempre trattati ‘con i guanti bianchi’ supportandone lo sviluppo con investimenti e assunzioni in Italia. Oggi però, si presenta una casistica diversa. Il brand della Medusa, infatti, non è stato acquisito dal solito conglomerato francese, ma è finito, per la prima volta, in mano americana. E questo non è un particolare secondario, sia per l’azienda Versace sia per il sistema che attorno a essa si muove. È interessante, per capire cosa sia oggi il sistema della moda americano, la recente presa di posizione di Kate e Laura Mulleavy, fondatrici di Rodarte, marchio Usa con una riconosciuta identità stilistica. Intervistate da Wwd, hanno detto chiaramente che il modello della moda a stelle e strisce fatica a comprendere e valorizzare la creatività, fattore che, spesso, per i brand americani, finisce “strangolato dalla pressione della performance commerciale”. Il prezzo che Michael Kors ha pagato per Versace lascia pochi dubbi: questa “pressione commerciale” sarà riproposta con decisione per il marchio italiano. E questa pressione è cominciata subito, se è vero che appena due settimane dopo la chiusura dell’acquisizione, i terzisti della Medusa sono stati convocati in azienda, dove sono stati messi di fronte a una notevole stretta delle condizioni economiche della fornitura, che suona come una sorta di aut aut. Che Kors arrivi a ipotizzare anche la delocalizzazione è una domanda lecita. Tutto ciò andando controcorrente in una fase in cui i principali marchi del lusso stanno rafforzando e strutturando la propria presenza nei distretti italiani. È possibile che questa scelta della “pressione commerciale” spinga i margini di Versace nel breve periodo. Ma il prezzo nel medio periodo sarà quello di mettere a rischio l’anima made in Italy del brand.
David Pambianco