Ultima in ordine di tempo è stata la nomina di Eraldo Poletto come chief executive officer di Stuart Weitzman. Ma, negli ultimi tempi, i mananger italiani sono decisamente nel mirino dei principali gruppi e brand del lusso. Kering, Lvmh, Tapestry, Mayhoola For Investments, ma anche Burberry e Tiffany, hanno infatti scelto, per ruoli di primo piano, degli executives del nostro Paese. Ricorrente, se si guarda ai marchi ammiragli delle diverse compagini, anche il trend del ‘duo italiano’ al vertice, quando cioè si scommette sul made in Italy anche in termini di creatività. A vincere è la tradizione produttiva e commerciale del nostro Paese nel settore lusso in molte categorie differenti. Con il risultato che, come la denominazione made in Italy rappresenta un vantaggio competitivo per le collezioni delle griffe, allo stesso modo è in Italia che le holding fanno scouting di dirigenti.
GLI ASSI NELLA MANICA DI KERING E LVMH
Si lega a due nomi italiani, tanto per iniziare, il successo delle due maison di punta del gruppo Kering, Gucci e Yves Saint Laurent, guidate rispettivamente da Marco Bizzarri e Francsca Beellettini. La Gucci targata Bizzarri è un susseguirsi di record: se nel 2017 la griffe toscana è passata da 4,3 a 6,2 miliardi di euro di ricavi, performando meglio del mercato con un +44,6%, nel primo trimestre 2018 il trend di crescita non si è arrestato, con un ulteriore +38 per cento. Dal canto suo Yves Saint Laurent è il secondo brand di Kering per fatturato, protagonista, a fine 2017, di ben 17 quarter con una progressione superiore al 20 per cento. Bellettini è alla guida della maison dal 2013. Sua la difficile scelta di trovare un successore a Hedi Slimane, che aveva dato il via a una revisione complessiva di prodotto e immagine. Sua la scommessa vincente sul designer belga Anthony Vaccarello, ma anche la sfida dello sviluppo retail e dell’espansione internazionale. Sono italiani, in Kering, anche gli AD di Brioni (Fabrizio Malverdi), Girard-Perregaux (Antonio Calce) e Pomellato (Sabina Belli), nonchè il CEO di Kering Eyewear (e membro dell’executive committee del colosso parigino) Roberto Vedovotto. Sull’altra sponda della Senna, Bernard Arnault, presidente e CEO di Lvmh, ha scelto Pietro Beccari, ex numero uno di Fendi, come nuovo chief executive officer di Christian Dior Couture al posto di Sidney Toledano. Il manager parmense è anche il secondo nome italiano del comitato esecutivo di Lvmh, dove già da tempo siede Antonio Belloni in qualità di direttore generale delegato. “C’è un boom di manager italiani alla guida del lusso mondiale – ha raccontato a Pambianco Magazine lo stesso Belloni – per un mix di fattori: innanzitutto, perché abbiamo un gusto estetico unico al mondo, siamo abituati al bello che ci circonda. Poi perché abbiamo una predisposizione naturale ai rapporti umani e perché vantiamo agilità a districarci tra le difficoltà”. Tra gli italiani ai vertici di Lvmh anche i numeri uno di Emilio Pucci (Mauro Grimaldi) e Loro Piana (Fabio D’Angelantonio), nonché Giovanni Zoppas, nominato CEO di Thélios, la joint venture dell’eyewear, nata nel 2017 dall’alleanza tra Lvmh e Marcolin.
RADDOPPIO TRICOLORE
I colossi del lusso, con i binomi Bizzarri-Michele e Beccari-Chiuri, hanno anche confermato l’appeal di un ‘duo italiano’ al vertice, quotando ulteriormente il nostro Paese a livello creativo. Ne sa qualcosa anche Mayhoola for Investments (che tra i ‘suoi’ CEO italiani annovera Massimo Piombini di Balmain e Giovanni Mannucci di Pal Zileri) che deve il successo di Valentino all’AD Stefano Sassi e allo stilista Pierpaolo Piccioli. Un’apertura ‘storica’ al talento italiano è, inoltre, il nuovo corso di Burberry. Per 17 anni, la storica fashion house inglese ha vissuto della creatività e delle strategie di Christopher Bailey, culminate con la rivoluzione co-ed, con la fusione delle etichette Prorsum, London e Brit in un unico brand, ma anche con un calo dei ricavi. Nel luglio 2016 è stato scelto, come nuovo CEO, Marco Gobbetti, ex Céline, Givenchy e Moschino. Quest’ultimo, lo scorso marzo, ha affidato le redini stilistiche della maison a Riccardo Tisci, stilista pugliese noto per il suo streetwear deluxe, legato a Givenchy dal 2005 al 2017 e a Nike per il lancio di alcune capsule. La ‘cura’ Gobbetti ha già portato, nei 12 mesi al 31 marzo scorso, a utili operativi sopra le stime, ma è soprattutto sul debutto di Tisci in passerella, previsto per il prossimo settembre, che il mercato concentra il suo ottimismo. Legata al made in Italy per la produzione di accessori in pelle, Burberry ha infine rilevato, agli inizi di maggio, il controterzista toscano CF&P, pronta a creare un centro di eccellenza in house per i leather goods. La nomina di un direttore creativo sarà tra i primi compiti dell’ultimo, in termini temporali, manager italiano volato all’estero. Appunto, Poletto, alla guida di Stuart Weitzman da aprile. Il brand di luxury footwear è infatti fresco di divorzio dal designer Giovanni Morelli. È infine già avviato il nuovo corso di Tiffany, affidato all’ex Diesel Alessandro Bogliolo, che con un focus sul rinnovo dell’offerta ha già archiviato un primo trimestre 2018 sopra le stime e la miglior performance del titolo a Wall Street dal 2001.
di Giulia Sciola