Parte la prima crociata dei consumatori della moda cinesi. Ad alzare la voce contro i colossi delle vendite online è un’associazione sostenuta dal governo di Pechino, dunque in qualche modo connessa al sistema. Tuttavia, l’iniziativa rappresenta una svolta (un po’ come lo furono i primi scioperi nelle fabbriche cinesi) che apre le porte a una maggiore liberalizzazione del mercato anche sul fronte dei diritti dei singoli clienti.
Nodo della querelle, l’accusa di aver presentato falsi sconti durante la campagna vendite Single’s day dello scorso 11 novembre, entrata negli onori della cronaca per le cifre monstre degli acquisti online.
Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, a denunciare l’affaire è stata una associazione di consumatori riconosciuta dallo stato cinese, secondo la quale il 17% delle offerte offerte in quell’occasione erano in realtà ribassi camuffati. In un rapporto pubblicato dall’associazione lunedì, nel quale si chiede l’intervento del governo, 12 piattaforme tra cui Alibaba e Amazon avrebbero alzato i prezzi nei giorni precedenti in modo da poter attirare i clienti con cospicui sconti in occasione del Single’s day. Lo scorso 11 novembre la sola Alibaba ha registrato vendite per 120,7 miliardi di yuan (circa 16 miliardi di euro).
Il business dell’online sembra ormai aver attirato l’attenzione da parte delle autorità cinesi che, ricorda l’agenzia Reuters, avrebbero intensificato gli sforzi nell’ottica di una repressione delle tattiche di vendita ingannevoli da parte dei principali gruppi dell’e-commerce. Già a novembre, infatti, le autorità avevano messo in guardia alcuni big dell’e-commerce tra cui Alibaba, Amazon e JD.com per la falsificazioni di alcuni dati e la vendita di merci contraffatte.