Parte dallo Studio Albini o, almeno, da quello che è stato lo studio del grande architetto negli ultimi 15 anni della sua carriera, e che ospita oggi anche la Fondazione omonima, il viaggio di scoperta della metropolitana milanese, la “più grande opera di design sociale esistente” come racconta a Mood, Paola Albini nipote di Franco Albini e responsabile della Fondazione, ricordando che questo progetto ha portato alla conquista nel 1964 del Compasso d’Oro.
Tutto ebbe inizio 50 anni fa (oggi se ne festeggia l’anniversario) quando il progetto partì finanziato dal contributo dei cittadini milanesi che ne sottoscrissero le obbligazioni.
L’idea fu di garantire un’immagine coordinata delle stazioni in tutta la città: dai pannelli a parete, per coprire i cavi che, a causa della ridotta altezza degli scavi per colpa delle falde acquifere, costrinse a inserirli a soffitto; alle pavimentazioni a bolle. Ogni elemento svolgeva una duplice funzione, le canaline luminose, per esempio, oltre a fare luce tracciavano anche la direzione di percorrenza dei tunnel.
La segnaletica e l’allestimento della ‘rossa’ è un’opera di comunicazione visiva realizzata da Bob Noorda e Franco Albini per conferire un’identità precisa alle strutture e alla segnaletica della metropolitana di Milano e finalizzata alla massima intuizione da parte degli utilizzatori del servizio. Si tratta di una serie di elementi grafici e di allestimento volti sia a dare un’immagine coordinata delle diverse stazioni, sia a rispondere in modo immediato e intuitivo alle veloci richieste d’informazione da parte degli utilizzatori.
Mission della Fondazione è raccontare, come avviene in questo allestimento, il rapporto tra design e architettura attraverso percorsi fatti di oggetti e storie uniche. Come quella di Giovanni Danzi che scrisse appositamente per l’inaugurazione di quella che all’epoca veniva comunemente chiamata la ‘sotterranea’, una canzone intitolata ‘Metropolì Metropolà’. Allo stesso Danzi si deve l’inno di ogni milanese che si rispetti: ‘Oh mia bela madunina’. Alla Fondazione è possibile ritrovare proprio la foto e lo spartito del musicista e ripercorrere le tappe di quegli anni attraverso immagini, locandine e documenti d’archivio specchio di un’epoca che sembra molto lontana, ma non lo è.
Le foto documentano le caratteristiche tecniche del progetto, dai disegni sotto forma di eliocopie alle immagini dei tornelli in funzione, dai pannelli realizzati con materiali brevettati all’epoca da Albini, alla cabina di regia della linea rossa.
Lungo lo studio si snoda, come un vero e proprio fil rouge, un tubolare metallico rosso che mantiene sempre presente il tema di fondo che percorre la mostra.
Per l’anniversario, poi, diverse aziende hanno collaborato con lo Studio Albini realizzando chi una poltrona dal tubolare rosso (che ricorda i colori della M1) come Cassina, chi, come Nemo, lampade dalla foggia ispirata alla segnaletica del sottosuolo e chi, come Nava, ispirandosi agli orologi delle stazioni ne ha fatti segnatempo da polso rossi e neri.
La purezza e ricercatezza di quelle prime stazioni sta lasciando il campo a ristrutturazioni non sempre in linea con lo stile originale. Solo due fermate, Caiazzo e Amendola Fiera, manterranno nel tempo il ricordo dei materiali e delle forme con le quali furono concepite. Una realtà sotterranea impregnata di design, a partire dai manifesti pubblicitari che vanno incontro alle esigenze di lettura dinamica di un fruitore in movimento. La ‘Declinazione grafica del nome Campari’, realizzata nel 1964 per il debutto della prima metropolitana milanese, dall’artista e designer Bruno Munari, fu realizzata con parti modulari per permetterne la lettura anche a bordo delle vetture in movimento.
Il design si respirava anche nei particolari, i primi cestini erano firmati Kartell. Una curiosità: nel tempo furono ancorati al pavimento perché la cittadinanza sembrava apprezzarli a tal punto da notare ogni tanto qualche milanese che usciva dal sottosuolo con un cestino sottobraccio.