Il Governo italiano deve mettere in condizione i suoi industriali di tornare a produrre in Italia. È questo, in estrema sintesi, l’appello emerso dal convegno annuale di Assocalzaturifici, che si è svolto sabato a Firenze nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, e incentrato sulla tematica de “Il grande ritorno”. “Molte aziende che avevano delocalizzato stanno ora pensando di ritornare. Riappropriarci del made in Italy è una battaglia di civiltà che però non possiamo combattere da soli”, ha detto Cleto Sagripanti, presidente dell’associazione. “Abbiamo bisogno che le istituzioni ci aiutino, anche grazie all’introduzione a livello europeo dell’etichettatura di origine obbligatoria”.
Una ricerca curata dal Back-reshoring Research Group del consorzio universitario Uni-Club More, ha messo in luce come il settore abbigliamento e calzature rappresenti nel suo insieme il 19,3% delle decisioni di riallocazione registrate su scala mondiale. L’Italia è il Paese d’origine cui ricondurre il 20% delle decisioni di back-reshoring, primo Paese della Ue e secondo in classifica dietro agli Stati Uniti (al 46,6%). La decisione è dovuta per la maggior parte dei casi al valore aggiunto che il mercato riconosce al prodotto made-in-Italy (come evidenziato anche dal convegno Pambianco degli scorsi giorni, che ha riconosciuto il tema del ‘Back to Italy’ come strada obbligata).
Il settore calzaturiero (+0,6% il fatturato nel primo semestre, +4,5% l’export nei primi sette mesi) fa dunque appello al Governo per costruire il contesto favorevole allo sviluppo del settore, in primis attraverso la votazione in sede europe del ‘Made in’ (l’obbligo sull’etichettatura di origine), nonostante la contrarietà della Germania e dei Paesi del Nord Europa. “Confidiamo di portare a casa il risultato entro il semestre di presidenza italiana dell’Ue”, ha rassicurato dal palco Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.