In fondo è tutta una questione di forme. Prima della guerra dei negozi rimessi a nuovo nelle strade del lusso, prima delle mostre che ne descrivono le possibili contaminazioni, prima degli abiti che sembrano materiali resistenti al tempo, esiste un nesso naturale e originario tra l'architettura e la moda. La moda è architettura quando dà una struttura ai gusti e alle tendenze, le cattura e, come abile architetto, dà loro forma, visibilità. L'architettura è moda perché vetrina del tempo che passa, delle “mode” che investono spazi e persone.
Moda da un lato e architettura dall'altro, dunque, intercettano il cambiamento delle città e lo mostrano: l'una lo fa «abitando corpi», l'altra vestendo i luoghi.
La prima volta che Rem Koolhaas presentò i progetti per i negozi americani di Prada, l'architetto Vittorio Gregotti, uno dei padri della ricostruzione italiana, liquidò i lavori del collega olandese chiamandoli “scenografie”. Il giorno dell'apertura del negozio di SoHo (575 Broadway), questo ha smesso di essere un flagship ed è diventato l'«Epicentro Prada»: un luogo dove l'estetica dello shopping esce dalla dimensione della compravendita e arriva all'arte, alla musica, alla letteratura e, perché no, all'intrattenimento.
Sempre nella Grande Mela, la torre disegnata dal francese Christian de Portzamparc segna, come un enorme trofeo cittadino, il quartier generale Louis Vuitton.
Re Giorgio ha distribuito, invece, tra diversi archistar i suoi lavori: il Teatro Giorgio Armani a Milano è del giapponese Tadao Ando mentre per gli empori di Hong Kong, Shanghai e Tokyo la firma è quella dei coniugi per eccellenza dell'architettura italiana, Massimiliano e Doriana Fuksas.
Proprio in Giappone si sta consumandola “guerra fredda” delle grandi griffe, il cui obiettivo è uno solo: avere l'architettura “più cool” nel quartiere “più cool” di Tokyo.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 13/02/08 a cura di Pambianconews