Non ci sono molte alternative: «O riusciamo a importare gioiellieri da fuori, oppure dobbiamo andare noi a produrre fuori», sostiene Roberto Coin (nella foto), che da almeno un anno aspetta i permessi di soggiorno per tre artigiani filippini, tagliatori di pietre, che vorrebbe far lavorare qui in Italia. Non solo. «Sto cercando di prendere un esperto di computer indiano, ma non c'è verso. Se le cose continuano così finirà che dovremo spostarci noi».
Nel 2007 il fatturato ha quasi raggiunto 140 milioni di euro, realizzato per oltre il 50% negli Stati Uniti. Recentemente è stato aperto un negozio monobrand anche a Macao, in Cina («Ma in Cina i dazi sono ancora molto alti» spiega Coin); poco prima era stata la volta di una boutique a Dubai. Poi sono arrivati Roma e Atlanta, negli Usa. Quest'anno sono previste aperture a Vienna, Las Vegas e Mosca.
La produzione è realizzata anche in due “fabbriche”di Valenza. Ma non tutto si riesce a fare qui, anche perchè gli artigiani sono sempre meno. «Fare un pavè di brillanti, spiega Coin, è molto complicato, le pietre sono tutte di misure diverse: in questo sono molto bravi gli indiani». Anche incassare le pietre è un lavoro che spesso si fa in Thailandia: «In Italia nessuno riuscirebbe a farmi anche 5mila pietre al giorno. E spezzettare il lavoro in tante piccole aziende diventa troppo complicato».
Una caratteristica dei gioielli Roberto Coin è la cosiddetta Cento collection, creata con il diamante Cento, l'unico con un taglio rivoluzionario a cento sfaccettature.
Ma ora Coin ha deciso di non fermarsi ai gioielli, altri accessori sono già in arrivo. Già sono allo studio delle borse, ma il primo ad uscire tra poco sarà un orologio, solo da dona, realizzato in Svizzera.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 9/02/08 a cura di Pambianconews