«Questo negozio deve diventare una macchina da guerra. Se non altro perché vi abbiamo investito molto più di quanto siamo abituati a fare». Gildo Zegna (nella foto), AD del gruppo omonimo, non abbandona il consueto pragmatismo, seduto accanto al camino in marmo verde al terzo piano del nuovo global store di via Montenapoleone, a Milano.
Inaugurato ieri (700 metri quadri su quattro piani) il negozio disegnato dall'architetto americano Peter Marino è il primo di tre; altri due global store sono infatti in arrivo l'anno prossimo: il primo a New York, in Fifth Avenue, il secondo a Tokio, a Shinjuku. «Ormai siamo a livello di �berluxury, come si dice adesso, al di sopra del semplice lusso» aggiunge Zegna.
Appena tornato da un viaggio nel Far East, l'amministratore delegato di Zegna sembra ancora frastornato dalle impressioni ricevute: «In Asia, dice c'è una voglia pazzesca di roba italiana, le città si fanno concorrenza tra loro: Hong Kong con Shanghai, Shanghai con Singapore (sempre più importante come hub finanziario) e poi Macao, diventata la Las Vegas dell'Asia. E l'incremento dei consumi di abbigliamento maschile, ma ora anche di accessori, è superiore a quello della donna. Gli investimenti in futuro li faremo più lì che altrove: l'Oriente, compreso quello europeo, è il traino della crescita. Con l'eccezione del Giappone, che è ancora impantanato e temo ci resterà anche l'anno prossimo. Noi abbiamo tre negozi a Tokio, uno a Nagoya, uno a Osaka e poi tra un anno il Global store di Tokio sempre disegnato da Peter Marino. Ma credo che il ritorno sarà più lento del previsto».
L'altra sfida è l'India. Spiega Zegna: «Siamo stati i primi a creare un'azienda locale, la Zegna India, una joint-venture di cui abbiamola maggioranza, dedicata al retail. Qui la crescita è ancora tutta da verificare, comunque il nostro primo negozio a Mumbay, dopo le inondazioni estive, ora sta andando bene, il “su misura” ha un grande successo. I prossimi li apriremo a Delhi e Bangalore».
A questo scenario di Oriente dorato fanno però da contrattare gli Stati Uniti. «Il dollaro è un cruccio, ammette Zegna, e noi facciamo il 27% del fatturato negli Usa, e poco meno del 50% dei ricavi sono in dollari. Temo che anche il 2008 sarà un anno difficile. I listini li dovremo aumentare un po', ma senza dimenticare che è molto importante avere una politica di prezzi il più possibile omogenea nel mondo».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 26/10/07 a cura di Pambianconews