L'ultimo campione del made in Italy che si affaccia in Piazza Affari non nasce in un laboratorio di pelletteria o nei pensatoi di qualche griffe. Marco Palmieri presidente e ceo di Piquadro, per dirla all'americana, era un aspirante hacker che, negli anni Ottanta, veniva inseguito dalle aziende per mettere a punto sistemi informatici.
Val la pena di raccontarla da qui la storia di Palmieri e della Piquadro. Dal 1987 al 1998, premiata ditta «terzista» al servizio delle firme del settore. Dal 1998, una volta preso atto che «a fare il terzista non si guadagna niente», una navicella che, tra design, innovazione e tecnologia, ha dato vita a un brand distribuito in oltre 50 Paesi del mondo, che fattura 35,7 milioni, con una crescita proforma su base annua del 43%, attraverso una rete di distribuzione fatta, in Italia, di 245 Piquadro Station, più 5 Shop in Shop e 13 punti vendita; all'estero, dove la corsa è appena cominciata da 49 Piquadro Stations, un Shop in Shop e 10 punti vendita monomarca.
La produzione di Piquadro è interamente delocalizzata in Cina ma la gestione dei materiali (in arrivo dalle concerie toscane) e delle componenti a valore aggiunto viene gestita dall'Italia; perchè il rapporto con i produttori locali, sia nella fabbrica di proprietà di Zhongshan che presso i terzisti (il 60%a viene prodotto in outsourcing) funziona al 90% attraverso la grande rete. «C'è una grande differenza – spiega – tra il produrre in Cina alla cinese o produrre sempre in Cina, ma all'italiana. Noi ci siamo riusciti».
Insomma, Palmieri è un campione del made in Italy di nuova generazione.
Piquadro, solidamente nelle mani di Marco Palmieri ha avuto più compagni di viaggio: prima Development Capital, un private uscito con una ottima plusvalenza, poi a Bnl investire impresa che venderà la sua quota, il 35%, con l'Ipo. «è giusto che sia così – chiude Palmieri – Un private deve realizzare. è per questo che ora ho scelto la Borsa: ho obiettivi a lungo termine».
Estratto da Finanza&Mercati del 3/10/07 a cura di Pambianconews