Dopo sette anni Giorgio Armani torna a Tokio da trionfatore. Forte della sua immagine costruita su una articolatissima rete di vendita, lo stilista milanese che in Giappone meglio di altri ha rap |
Per Armani, il Giappone vale quasi un quinto del giro d'affari. «Devo dire, spiega lo stilista, che il mercato giapponese ci ha dato enormi soddisfazioni: anche in un momento di grande crisi internazionale e di recessione economica interna abbiamo sempre mantenuto le nostre posizioni, senza lanciarci in operazioni espansionistiche. Ma Tokio è molto cambiata rispetto a sette anni fa, c'è maggiore enfasi sulla moda e quindi è necessario adottare nuove strategie: abbiamo innanzitutto bisogno di presenze più forti e di dare maggiore evidenza ai nostri prodotti. E poi dobbiamo puntare sugli accessori, da noi considerati finora un corollario delle collezioni di prèt-à-porter e che invece si sono dimostrati il vero successo degli ultimi anni, basti pensare a Gucci, Prada, Chanel».
E la competitività asiatica che rischia di soffocare l'industria italiana della moda? «Se dico che è un problema serio, non dico certo una cosa nuova. In Cina ho visto prodotti di grandissimo livello. Ma non c'è soltanto la Cina: se parliamo di tessuti, la Turchia produce cose bellissime e molto competitive rispetto a quelle italiane. E questo è il motivo per il quale alcuni marchi, tra cui il nostro, cercano di spingere il pedale sulla eccentricità e realizzare prodotti più complessi non facilmente copiabili: l'unica maniera per difendersi dalla omologazione è mantenere alta l'idea dell'innovazione e della personalità». La Cina è anche un mercato e «non è escluso che in futuro possa superare il Giappone».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 1/04/05 a cura di Pambianconews