La successione, per le griffe italiane più importanti, è un problema che si sta facendo pressante. Trovare chi rimpiazzi, stilisticamente, i talenti creativi da cui è nato il made in Italy non è impresa semplice. I giapponesi potrebbero dirci che siamo stati poco lungimiranti; che i potenziali successori del designer vanno cresciuti in seno all'azienda dagli esordi. Così ha fatto Issey Miyake, genio stilistico conosciuto nel mondo per il suo plissé di poliestere creato sul capo finito. Seguendo un approccio al lavoro collettivo tipicamente orientale, che il responsabile della Issey Miyake Europa Giorgio Messieri definisce «la cultura di portarsi dietro le persone sin dall'inizio».
Che cosa significa?
«Un approccio diverso al ruolo di stilista: a vent'anni impari dal maestro, a quaranta sei pronto per tenere le redini di un'azienda, a sessanta devi avere educato i tuoi collaboratori a prendere il testimone. Issey ha lavorato con Laroche e Gvenchy, è stato assistente di Geoffrey Bean in America. Poi, fondata la sua società in Giappone negli anni '70, si è subito circondato di giovani provenienti dalle scuole. Non solo per allevarli, ma per formare una sensibilità comune».
Come è stato scelto il successore creativo, Naoki Takizawa?
«Naoki, come altri, ha accettato di creare una sua linea. Si chiamava Plantation, era impostata su fibre naturali e su uno stile mutuato dagli abiti da lavoro e trasferito nel quotidiano. Dopo dieci, quindici anni di lavoro, negli anni '80, aveva su di sé la responsabilità della linea uomo. Ora è l'anima stilistica delle collezioni Miyake uomo e donna, ma decine di altri avrebbero potuto esserlo, in teoria».
Miyake dà ancora il suo apporto alle collezioni?
«Non si è mai ritirato, ha solo deciso di fare un passo indietro, nel '99. Ma è ancora fortemente impegnato nella ricerca: su Pleats Please, la linea impostata sul famoso plissé; e su un'altra collezione sperimentale denominata Poc (a Piece of Cloth), già commercializzata in America, Giappone e parte dell'Europa».
Quanto fatturano, mediamente, le linee dei giovani?
«Alcune fanno numeri notevoli, intorno ai 50 milioni di euro. Come Zucca, disegnata da Akira Onozuka; o Final Home Windcoat, di Kosuke Tsumura. Ma il processo formativo prosegue, non si è mai fermato. A-net si chiama così perché in futuro potrebbero aggiungersi B-Net, C-net e decine di altre emanazioni legate alle linee giovani».
Estratto da CorrierEconomia del 16/02/04 a cura di Pambianconews