Gioielli, più 4 per cento. Orologi, meno 19; profumi, meno 10. Totale ricavi dei primi sei mesi di quest'anno shock: 330 milioni di euro, il 2 per cento in meno rispetto al primo semestre 2002. Eppure, snocciolando al mercato i dati del primo semestre 2003, Francesco Trapani, amministratore delegato di Bulgari, si è dichiarato «molto soddisfatto». Ottimismo esagerato? Per un mercato abituato da anni a ritmi di crescita a due cifre, quel segno negativo non appare un gran risultato. Ma se si considera che l'orribile 2002 si è chiuso con un più 1 per cento di crescita e sopra tutto che il gigante Richemont, proprietario del diretto concorrente Cartier, va peggio (meno 5 per cento il fatturato del gruppo per l'anno chiuso a fine marzo), si capisce perché Trapani pensa tutto sommato di essersela cavata.
Allora, dottor Trapani, anche per le grandi luxury brands #'niente sarà più come prima''?
«Penso proprio di sì. Negli ultimi due o tre anni le cose sono cambiate, e in maniera strutturale. Prima bastava avere una buona idea di prodotto e una buona comunicazione, per raggiungere il successo. Si viveva in un mercato estremamente facile. Adesso, per creare valore il gioco è diventato più complesso, più sofisticato. Bisogna affinare la conoscenza dei consumatori e dei mercati, studiare i concorrenti. E pianificare i nuovi prodotti con velocità di realizzazione e uno sguardo più attento ai costi e al prezzo».
Voi come vi muovete?
«Le aziende del lusso hanno guardato finora al mondo come a un paese solo, e fatto prodotti uguali per tutti. Ora cominciamo a studiare i nostri clienti: conosciamo negozio per negozio, mercato per mercato, chi sono i migliori, se sono uomini o donne, cosa hanno comprato negli ultimi dodici mesi, e così possiamo fare operazioni di marketing molto mirate».
Paga di più la strategia monobrand come la vostra, rispetto al multibrand come Lvmh?
«Non è vera in assoluto né una cosa né l'altra. Se le tue risorse finanziarie e manageriali sono scarse, è probabile che stai facendo male a distrarti sul secondo brand. Se invece non lo sono perché il primo brand è abbastanza maturo, il clima è forte, i soldi ci sono, allora fai bene a comprare il secondo. Poi bisogna capire quanto lo paghi: se compri un brand con tutta una serie di cose che non vanno, ma con un potenziale di sviluppo che sei in grado di tirare fuori, è una buona idea; se invece uno spende una cifra iperbolica solo perché ha il desiderio di fare il multibrand, parte col piede sbagliato. Detto questo, Bernard Arnault con Lvmh è stato un drago, anche se nel portafoglio ci sono brand fantastici e cose da buttare».
Estratto da L'Espresso del 1/08/03 a cura di Pambianconews