E oggi sembra che, come d'improvviso, il made in Italy si sia ammalato. I risultati del primo trimestre di Gucci, con quell'utile poco sopra la soglia del pareggio per uno dei principali gruppi del lusso mondiale, hanno come tolto il tappo a ciò che si sapeva e che solo chi non voleva guardare ignorava; chi si illude che basti nascondere un problema per farlo sparire. Alcuni, come Diego Della Valle, il patron di Tod's, o come Mario Boselli, presidente della Camera della moda, o Roberto Cavalli, lo stilista, si sono espressi per tempo. Altri hanno negato fino all'ultimo. C'è un cambiamento profondo in corso: stanno cambiando i consumatori e stanno cambiando anche gli attori dell'impresa.
Le società del settore continuano a fare utili. E le ultime informazioni arrivate da alcuni dei principali gruppi, come Bulgari e lo stesso Gucci, dicono che un miglioramento, dopo il baratro della Sars, la polmonite atipica che aveva fermato il mondo, è in corso. Semmai, c'è da vedere se durerà, e quanto. Dice Nino Cerruti che «bisogna che la crisi vada fino in fondo, poi dovremo ripensare tutto il lusso, quello di adesso non funziona più». E chissà se lui, dopo la fine della crisi, potrà tornare, come qualcuno vorrebbe, a disegnare le collezioni che portano il suo nome e oggi vendute a Finpart. «Mi spiace molto vedere il marchio nelle condizioni in cui si trova oggi, anche perché si chiama come me, dice lo stilista. Ma spero che non mi venga mai questa tentazione e, se mi venisse, che i miei collaboratori mi dissuadano».
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Estratto da CorrierEconomia del 14/07/03 a cura di Pambianconews