Il 2002 è stato un anno molto difficile per la scarpa made in Italy. Parola di Antonio Brotini, presidente dell’Anci, l’associazione imprenditoriale di settore. Dice Brotini: «La situazione è brutta. E nel 2003 rischia di peggiorare». In effetti i dati forniti dall’Anci stesso, relativi ai primi dieci mesi dell’anno scorso, dipingono un panorama a tinte fosche. Lo conferma il boom della cassa integrazione (+135 per cento). E lo certifica l’andamento del saldo commerciale caduto da 4.468 a 3.916 milioni di euro (12,4 per cento).
Purtroppo l’esame dei dati storici elaborati dall’Anci ci dimostra che la crisi non è congiunturale. Fino al punto da far pensare che i rapporti di forza all’interno del mercato mondiale stiano rapidamente peggiorando a nostro sfavore. Nei primi dieci mesi del 1996, anno boom della scarpa made in Italy, infatti, le imprese italiane hanno esportato oltre 376 milioni di paia mentre le importazioni si sono attestate a quota 111 milioni. Già nel periodo gennaio-ottobre del ’98, però, la situazione appare sensibilmente mutata: l’export cala a 332 milioni di paia e l’import cresce ad oltre 140 milioni. Nello stesso periodo di tempo si manifesta un fenomeno destinato a consolidarsi in seguito: la crescita del prezzo medio della scarpe italiane vendute all’estero che passa da 14,70 a 16,02 euro.
«In realtà il quadro complessivo rimane sempre precario osserva Brotini a causa del fenomeno delle importazioni che ora stanno crescendo di prezzo e di livello. Ma soprattutto a causa delle contraffazioni effettuate in paesi come la Cina, il Vietnam e la Turchia». Un fenomeno che non riguarda solo il nostro paese ma l’intera Unione europea invasa da calzature orientali che portano il marchio made in Italy. «Anche in Russia osserva ancora Brotini ci segnalano ingressi massicci di scarpe contraffatte provenienti dal confine cinese».
Vedi tabella che segue
Estratto da Affari & Finanza del 17/03/03 a cura di Pambianconews