Secondo i dati del Club degli Orafi, il mercato è molto frantumato: ci sono 350 aziende industriali e 9.700 imprese artigianali. «Ma soprattutto, spiega l'amministratore delegato di Richemont Italia, Giacomo Bozzi, questo è un settore che fa poca politica di marchio. E' un mercato unbranded». Come ha ricordato lo stesso Bozzi, le #griffe' presidiano solo il 4 per cento del mercato mondiale. E' vero che se ci focalizziamo sull'alta gamma, la percentuale sale, ma resta sempre molto inferiore rispetto agli altri comparti del lusso. Negli orologi, per esempio, l'80 percento delle case fa politica di brand, e nei profumi la percentuale è del 50.
I dati del Club degli Orafi aggiungono che negli ultimi cinque anni il mercato dei gioielli griffati è cresciuto del 12 per cento,contro il 5 di
quelli #anonimi'. Se poi andiamo a vedere l'Italia, il quadro poco brillante ci dice che le esportazioni del settore oreficeria-gioielleria, anno dopo anno diminuiscono un po': nel 2001 hanno perso il 5 per cento rispetto al 2000.
Come riuscire a far risplendere di nuovo il settore? «Facendo una forte politica di marchio», hanno risposto gli organizzatori del Forum organizzato dall'Università Bocconi.
Il processo è già iniziato: gruppi forti e conosciuti, di grande competenza nella gestione della marca, con solidi mezzi finanziari per sostenere lo sviluppo, sono in azione. Chanel sta per aprire una gioielleria a Milano; Giorgio Armani sta lanciando una linea Emporio Armani, realizzata dalla Fossil; Escada ha proposto costosi gioielli pieni di diamanti a Benetton-Sisley presto metterà i gioielli nei suoi 7.000 negozi. Ma con i gioielli, si cimenteranno anche grandi marche di orologi (da Omega a Swatch fino a Rado e Longines), e le firme più conosciute della cristalleria (da Baccarat a Lalique).