L'Italia tira il fiato nella gara per il primato nel tessile-abbigliamento. Da tempo si è arresa allo strapotere della Cina nei volumi prodotti e nelle vendite, ma la Penisola è riuscita a mantenere la leadership nell'alta qualità, su cui l'industria italiana concentra ormai quasi tutti gli sforzi.
Negli ultimi vent'anni l'equilibrio nella moda è stato stravolto. L'epicentro del terremoto è la Cina che ha più che quadruplicato la propria quota nelle esportazioni mondiali di abbigliamento, passando dal 4% del 1980 al 18,1% del 2000. Il peso dell'Italia, invece, si è quasi dimezzato: nell'80 era dell'11,3%, adesso è di appena il 6,6%, nonostante l'aumento di fatturato. In classifica, la penisola rimane al secondo posto. Nel tessile il sistema è stato meno violento. La Penisola è tornata ai livelli di venti anni fa: la quota sul commercio internazionale è del 7,6%, proprio come nel 1980, dopo un picco del 9,1% raggiunto nel #90.
La retromarcia è costata il primato, naturalmente a favore della Cina, che oggi rappresenta circa un decimo dell'export mondiale, il doppio di Venti anni fa, e guida la classifica davanti alla Corea del Sud (8,1%). Per l'Italia l'export nel 2000 è stato di quasi 12 miliardi di dollari, contro i 16,1 della Cina. La distanza aumenta nelle quantità, visto che i volumi della produzione cinese sono immensamente maggiori ma hanno un valore medio più basso.
Dall'altra parte del mondo la crescita è inarrestabile e solo la crisi del Far East ha tagliato le gambe a qualcuno: in un panorama di crescita spicca il crollo della Corea del Sud, che ha visto scendere la sua quota dal 7,3 al 2,5% nell'abbigliamento, anche se è raddoppiata quella del tessile. In controtendenza anche il Giappone: l'export giapponese di filati e tessuti vale il 4,5% del commercio mondiale, contro il 9,3% dell'80.