Il 2004 sarà «migliore del 2003, che chiuderà in linea con le previsioni, grazie ai buoni risultati di ottobre e novembre. Per l'anno prossimo stimiamo il fatturato in crescita dell'8-10% e i profitti in modo più che proporzionale: partiamo in vantaggio, perché tra il 2002 e il 2003 abbiamo realizzato una profonda riorganizzazione per tagliare i costi e guadagnare efficienza di fronte alla crisi. Ma anche la situazione esterna è decisamente migliorata: non c'è più la guerra in Iraq e la Sars è passata». A parlare è l'amministratore delegato di Bulgari, Francesco Trapani, incrociando le dita. Il manager è appena rientrato dal suo primo viaggio nella Cina continentale, a Pechino e a Shanghai, dove la griffe romana ha inaugurato i primi due negozi. L'anno che sta per cominciare segnerà anche l'espansione «aggressiva» nell'Impero di Mezzo, dove Trapani non esclude di «produrre, se capiterà un'occasione». La Cina non è solo un grande mercato potenziale, ma anche un concorrente temibile per il made in Italy.
«Noi dobbiamo fare gli imprenditori e la Cina significa due cose: 1) uno sbocco sempre più importante per i nostri prodotti; 2) qui si può produrre anche il lusso, perché i cinesi cominciano a fare cose di alta qualità».
Bulgari ha intenzione di produrre in Cina?
«Oggi facciamo tutto in Italia, a parte gli orologi in Svizzera. Le nostre due fabbriche in Piemonte ci garantiscono un ottimo rapporto qualità-prezzo. Ma se trovassimo una buona opportunità, non vedo perché non dovremmo produrre qualcosa in Cina. Nel campo della gioielleria, della pelletteria, dei profumi il consumatore non è così interessato a sapere dove si produce, si preoccupa soprattutto del brand , che deve garantire la qualità dell'oggetto. Soltanto negli orologi è indispensabile il made in Suisse ».
è ciò che fa paura alle aziende italiane, che vedono nella Cina una minaccia alla propria sopravvivenza.
«La Cina ha una voglia di lavorare e di fare straordinaria, con costi bassissimi. Mi sembra difficile batterli. Il nostro problema è un altro. L'Europa è seduta rispetto a Stati Uniti e Asia. Gli europei (e gli italiani), non hanno più voglia di lavorare, chiedono di andare in pensione presto, non vogliono rischiare, si preoccupano di difendere l'esistente invece di pensare al futuro e creare qualcosa di nuovo. è per questo che l'economia europea continua a non crescere abbastanza e a consumare poco».
Quanti negozi avete intenzione di aprire?
«Non abbiamo ancora un piano preciso, ma investiremo parecchio, puntando inizialmente su Pechino e Shanghai, anche se la nostra espansione ha un approccio nazionale».
Quando si aspetta il break-even nei nuovi negozi di Pechino e Shanghai?
«Per adesso dobbiamo spendere per far conoscere il marchio. La pubblicità qui è carissima. Ma i nostri concorrenti venuti prima di noi stanno già guadagnando».
Estratto da CorrierEconomia del 22/12/03 a cura di Pambianconews