In questo momento, ci sono donne che stanno fremendo nell’attesa di una telefonata per sapere l’esito di un’ecografia, di un colloquio di lavoro, di una causa di separazione. Altrove, invece, c’è chi si sta mangiando le unghie – attente ché il gel della nail art è tossico! – nell’attesa di una chiamata, una mail, un sms, un piccione viaggiatore, un segnale di fumo che le rincuori: l’oggetto del desiderio è finalmente arrivato.
Gli inossidabili Rolling Stone sono stati profetici, You can’t always get you want sarebbe la colonna sonora perfetta per le numerose fashion victim che soffrono nel sapersi inserite in waiting list infinite perché la borsa dei loro sogni non è attualmente disponibile e quindi tocca aspettare. Quanto? Non si sa.
Le fashionista più navigate hanno coscienza di quanto sia improbabile varcare la soglia di un negozio Hermès con l’intento di acquistare subito una delle iconiche borse della maison francese. In un episodio del telefilm cult Sex and The City, la PR Samantha Jones mette gli occhi su una Birkin, ma la situazione in boutique sembra sfuggirle di mano quando il commesso le comunica che la lista d’attesa ammonta a cinque anni:
– “Cinque anni per una borsa?”
– “Non è una borsa. È una Birkin”.
Il concetto alla base delle odiate waiting list è presto riassunto in quella battuta. Non si resta in attesa per settimane, mesi, anni solo per la smania di possedere un accessorio di lusso, si pazienta sperando di possedere un vero e proprio status symbol. Le aziende lo sanno e preferiscono centellinare la distribuzione di alcuni modelli aumentandone l’aura di esclusività.
Dallo scorso inverno Fendi ha lanciato con successo una capsule collection di ciondoli in pelliccia chiamati Bag Bugs che sono immediatamente diventati introvabili feticci da agganciare alle lussuose borse dell’azienda romana. Tempo pochi mesi e la disponibilità nei negozi si è esaurita, in particolar modo il modello che ritrae le fattezze del designer Karl Lagerfeld (ironicamente battezzato Karlito) è andato sold out ancora prima che arrivasse nelle boutique a causa delle pre-ordering list. Esistono ormai liste d’attesa per qualsiasi cosa: borse Chanel, orecchini Dior, stringate Prada. Come aggirarle? Quasi impossibile.
Nel suo best seller autobiografico, “Il cacciatore di Birkin” (De Agostini) Michael Tonello svela qualche trucco per riuscire a spuntarla con le temibili addette alle vendite; l’autore suggerisce di fingersi turiste e acquistare un sostanziale numero di capi e accessori di collezione prima di richiedere una borsa da wishing list. Per paura di perdere la gallina dalla carta di credito d’oro molte commesse riescono magicamente a reperire dal magazzino una Birkin in pelle, coccodrillo, rettile, struzzo… E chi non può spendere uno sproposito in giacche e foulard? Fate un salto in rete.
I fashion forum online rivalutano la sovente bistrattata solidarietà femminile. Da New York a Tokyo passando per Mosca, Parigi e Milano migliaia di donne si scambiano preziose informazioni (e condividono cocenti disperazioni) per abbreviare i tempi d’attesa. C’è chi si offre volontaria per andare a Milwaukee a procacciare portafogli limited edition per tutte – com’è noto, nelle periferie del mondo le waiting list sono molto più brevi – e chi progetta weekend di shopping negli outlet toscani nella speranza di reperire una Balenciaga del 2003.
Le peripezie che sono disposte ad affrontare queste donne pur di accaparrarsi l’oggetto dei propri desideri non conoscono limiti, ma ipotizzando fosse immediatamente reperibile nel corner store in Montaneapoleone, la shopping bag da farfalle nello stomaco avrebbe lo stesso fascino? Probabilmente no, perché niente come settimane, mesi, anni di attesa possono trasformare una semplice infatuazione nella missione della vita.