Sono 17 mila le imprese italiane all'estero e che oggi sono il segno di un sistema che si va globalizzando. Sono un pezzo dell´Italia, non solo manifatturiera, ma anche dei servizi, che ha scelto di produrre ed investire fuori dai confini in misura tale da essere addirittura superiore a quanto risultano essere le aziende estere e i loro dipendenti in Italia, chiudendo in attivo il bilancio della dinamicità di un sistema industriale.
Secondo un'analisi di Fulvio Coltorti, studioso delle performaces del Made in Italy, l'Italia, pur con tutti i terremoti dei cambi e l'ingresso di giganti come la Cina e l'India, in dieci anni ha aumentato del 45% le sue esportazioni. E' vero che si trattasi della metà di quanto è cresciuto il mondo, che ha marciato con un ritmo del 92%. Ma se si va a vedere dentro queste cifre si scoprono risultati interessanti: la perdita di peso dell'export è avvenuta soprattutto a causa dei gruppi maggiori, hanno resistito invece le medie che sono state abbastanza impermeabili alle variazioni di cambio. Il Made in Italy, che ne è la specializzazione, ha retto, i territori che vedono la presenza di aziende medie e distretti sono stati, più o meno, alla pari con gli altri.
Nell'universo italiano queste crescono più della media e superano di almeno 12 punti la crescita dell´export delle grandi, raggiungendo una performances che supera la Francia e si avvicina alla Spagna. Meccanica, macchine utensili e, in parte, la chimica, hanno fatto da bilanciamento alla crisi dei settori del tessile e degli altri prodotti più maturi attaccati dalla concorrenza e hanno visto decine di imprese uscire con successo dalla stretta pur essendo in comparti considerati obsoleti. Sono le scarpe della Geox, quelle della Lotto e delle decine di aziende di Montebelluna che hanno cambiato produzioni in fretta come, nel caso dell'abbigliamento, Replay.
Sul fronte occupazionale, infine, è stata rilevata una massiccia emigrazione di posti di lavoro: tessile e abbigliamento, pelli e calzature, legno e mobilio, hanno “esportato” circa 350 mila posti di lavoro facendo produrre altrove semilavorati e poi magliette, mobili e scarpe che una volta uscivano dalle fabbriche italiane.
Estratto da Affari&Finanza del 29/05/05 a cura di Pambianconews